Sale il costo della crisi delle grandi aziende e banche. Le tre grandi crisi sul tavolo del governo – Ilva, Alitalia, Banca Popolare di Bari – costeranno circa 5,9 miliardi di euro allo Stato e alla collettività. Che sarebbe come dire 100 euro a testa per ogni italiano, compresi i neonati.
Ma il conto finale potrebbe aumentare oltre questa cifra, anche perché nessuna di queste crisi è stata risolta. Cominciamo dalla più difficile, l’ex Ilva. Se il negoziato con il miliardario Lakhsmi Mittal avrà esito positivo, il governo – come già riferito dal Sole 24 Ore – è disposto a mettere in campo un piano complessivo di 3 miliardi, tra vecchie e nuove risorse.
Di questi, circa un miliardo sarebbe necessario per l’ingresso azionario nel capitale della AmInvestco Italy, la società controllata da Arcelor Mittal che ha in affitto l’ex Ilva. Il memorandum non vincolante firmato ieri dai commissari e dall’azienda (si veda articolo sotto) prevede l’intervento azionario di una società pubblica. La partecipazione pubblica oscillerebbe tra il 30 e il 49 per cento.
Inoltre 900 milioni-un miliardo servirebbero per costituire una Newco mista per produrre il minerale di ferro preridotto con il gas, necessario per alimentare i due forni elettrici che dal 2023 dovrebbero affiancare gli altiforni 4 e 5 e consentire una parziale decarbonizzazione, con una produzione annuale di 8 milioni di tonnellate. La nuova società sarebbe aperta alla partecipazione di produttori di acciaio e potrebbe ricevere finanziamenti europei, per cui i soldi non sarebbero tutti a carico dello Stato.
A questo si aggiungono i 300 milioni di impegno per Taranto, per il primo triennio, previsti nel decreto legge slittato a gennaio. Infine c’è la quota ancora da spendere del vecchio contratto di sviluppo per Taranto: circa 700 milioni su un miliardo.
Il secondo caso è la Popolare di Bari. Il governo ha già stanziato 900 milioni con il decreto legge approvato il 15 dicembre per ricapitalizzare la banca, attraverso Invitalia e la controllata Mediocredito centrale. A questo si aggiungono i 400 milioni di salvagente lanciato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd). Il Fondo nella forma è un organismo privato, alimentato con i contributi versati dalle banche, oneri che di fatto ricadono sul costo dei servizi bancari e quindi della clientela. Il costo del dissesto della principale banca del Sud però non si limita a questo. È in corso un’ispezione della Banca d’Italia, da cui potrebbero emergere ulteriori oneri. Inoltre – stando a quanto ha detto il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri – saranno risarciti coloro che hanno comprato azioni e obbligazioni della Bpb sulla base di informazioni ingannevoli. Il costo finale pertanto potrebbe attestarsi almeno 1,4 miliardi.
Infine l’Alitalia, la crisi più lunga nella storia delle aziende mondiali. Con i 400 milioni di finanziamento pubblico previsto dal decreto legge approvato il 2 dicembre salgono a circa 1,5 miliardi i soldi messi a disposizione della compagnia da quando è stata commissariata, il 2 maggio 2017. Altri 900 milioni sono stati già versati dal governo Gentiloni e sono evaporati con le perdite. Su questa somma sono maturati 145 milioni di interessi fino al 31 maggio scorso, neppure questi sono stati resi al Mef. Dal primo giugno gli interessi non sono più dovuti, sono stati aboliti con il decreto Crescita. Tenendo conto anche del costo della Cigs si arriva intorno a 1,5 miliardi. In totale con questi oneri il costo dell’Alitalia a carico dello Stato e della collettività in 45 anni è salito a 9,2 miliardi, a valori monetari correnti. Si può prevedere che i 400 milioni (non ancora versati alla compagnia) non basteranno ad arrivare al risanamento o alla cessione della compagnia. Quindi il costo totale della crisi è destinato a salire ancora. E non di poco.