La paura di trovarsi in recessione in piena campagna per le europee induce a più miti consigli con l’Europa. Il reddito di cittadinanza sarà fatto per decreto, anche prima di Natale, ma potrebbe slittare forse fino a giugno. E la platea di quota 100 potrebbe restringersi. Il mood è quello di ridurre il deficit, ma se ieri sera a Palazzo Chigi non è stata decisa ancora la limatura dal 2,4 per cento è per prendere ancora tempo. «Non è questione di decimali ma di rilanciare la crescita», scrivono Di Maio, Salvini e Conte dopo il vertice. «Confermati gli obiettivi fissati su pensioni, reddito e tutela del risparmio». Con una novità: reddito e pensioni di cittadinanza verranno varati con un decreto prima di Natale. Senza limitare la platea dei beneficiari. E prima di decidere cosa fare sul deficit, bisogna aspettare le «relazioni tecniche» sui costi delle riforme qualificanti. Ieri sono stati valutati gli emendamenti alla manovra oggi al voto in commissione Bilancio, il tutto nell’ottica di arrivare ad un accordo con l’Ue», come dicono da via XX Settembre.
Il rilancio con l’Europa si gioca sugli investimenti, magari accrescendo la quota di 36 miliardi di fondi già sbloccati dal governo. O riallocando «le somme recuperate» dopo una verifica delle «relazioni tecniche sulle proposte di riforma che hanno più rilevante impatto sociale, al fine di quantificare con precisione le spese effettive», come scrivono il premier e i suoi due vice.
Questa è la novità, ma rimane sospesa la questione del deficit. Prima di abbassare l’asticella Salvini e Di Maio vogliono sapere dal Mef le cifre esatte per il reddito di cittadinanza e Quota 100. Solo alla fine, dopo la verifica dei numeri, sarà possibile stabilire la limatura: decimali, che siano due o addirittura più di due, avvicinando o meno il disavanzo al 2 per cento. Insomma, un ragionamento politico e non ragionieristico. Il premier ha fatto presente che difficilmente il 2,2 per cento potrà superare l’esame di Bruxelles: sul 2 per cento invece si potrebbe aprire una nuova discussione tra i governi europei: che si troverebbero di fronte a una novità da esaminare seriamente. Che smonterebbe la narrazione di un’Italia indisciplinata da punire. E che andrebbe comunque recepita in manovra con un emendamento del governo che cambi i saldi del Def.
Il leader leghista l’ha messa giù così ieri pomeriggio prima di recarsi al vertice: «Nessun passo indietro sulle misure, anzi potrebbe essere un’avanzata, un’uscita dalla trincea. Se è l’unico modo per ottenere il via libera alla manovra io gli tolgo un alibi e se continuano a dire di no significa che è un “no” pregiudiziale».
Di Maio però teme il trappolone, ovvero che il reddito di cittadinanza venga depotenziato. «Se bisogna limare il deficit di qualche decimale, per noi non è un problema. Il punto è che non bisogna limare neanche di una persona la platea che beneficia del reddito di cittadinanza». Limare la platea no, ma posticipare l’entrata in vigore è l’unica strada per abbassare i costi. E su questo ieri sera sono sorti i problemi: il vicepremier grillino rimane fermo a febbraio come mese di partenza del reddito di cittadinanza, ma una cosa è che parta il primo di quel mese, un’altra alla fine: in questo caso si recupererebbe circa 1,8 miliardi, pari a 0,1 per cento in meno di deficit. Se poi slittasse ad aprile, si moltiplicherebbero i risparmi e il deficit si avvicinerebbe a quel 2 per cento utile per fare bingo in Europa. Ma la Lega non avallerebbe nulla senza il consenso del M5S.
Ieri sera inoltre sono stati fatti dei calcoli su quante persone potrebbero andare in pensione con la riforma della Fornero. Nel pomeriggio Salvini era stato chiaro: «Per tempi tecnici, la manovra verrà approvata entro Natale, a febbraio si parte. Poi è un’opzione che riguarda più di mezzo milione di italiani, ci sono gli esperti che stanno valutando quanto di questo mezzo milione ne approfitterà già nel 2019». Ecco, quanti approfitteranno del diritto di Quota 100. Se fossero la metà, si potrebbero recuperare altri 3 miliardi. Un altro passo sempre in direzione della strategia di togliere qualsiasi alibi all’Europa ed evitare di arrivare alle elezioni europee con la spada di Damocle delle sanzioni Ue. Ieri è bastata l’ipotesi di un’apertura sul deficit per far scendere lo spread sotto i 300 punti e far salire la Borsa.