Ancora ieri il premier si mostrava rassicurante: «La manovra darà slancio agli investimenti pubblici». Slancio è una parola forte: il fondo voluto dal governo, partito con una dotazione di quindici miliardi di euro per il triennio, ridotto a nove, ora resta finanziato per appena 3,6. Che ne è delle ragioni che rendevano necessaria la manovra espansiva? Che ne è delle magnifiche sorti del moltiplicatore keynesiano? Come spesso accade quando è necessario far tornare i conti, le priorità strategiche lasciano il passo a quelle elettorali. Lega e Cinque Stelle avevano di fronte a sé l’alternativa del diavolo: ridurre oltre il voluto i fondi per le due misure bandiera – reddito di cittadinanza e controriforma delle pensioni – o tagliare le dotazioni per ponti, strade e ferrovie. Tutti gli esperti della materia sanno in realtà che il problema italiano non è l’assenza in sé delle risorse (l’Europa ne stanzia a favore dell’Italia per parecchi miliardi), ma soprattutto l’incapacità e la lentezza nel fare uso di quelli a disposizione.
È una nemesi spiacevole per il governo del cambiamento. Ed è per questo che dopo aver letto le nuove tabelle della manovra Palazzo Chigi tenta una smentita. «Dopo l’interlocuzione con l’Europa l’ammontare a carico dello Stato si è ridotto solo di 2,1 miliardi nel triennio 2019-2021. Risorse che verranno compensate con i fondi strutturali». Purtroppo Palazzo Chigi omette di dire che i fondi strutturali sono per l’appunto fondi europei che necessitano di cofinanziamento. E ancora: “Apparenti ulteriori riduzioni sono semplicemente dovute alla decisione di allocare parte delle risorse in fondi direttamente collegabili a singoli investimenti», uno spostamento «peraltro funzionale a rendere le poste immediatamente disponibili». Il governo cita «il fondo per la prevenzione dei rischi del dissesto idrogeologico, per il piano idrico e il finanziamento di piccoli interventi». Quando ci sono di mezzo le poste della Finanziaria il gioco delle tre carte viene facile. Prendiamo il caso delle risorse per il rischio idrogeologico: 800 milioni nel 2019, 900 nel 2020, 900 nel 2021: anche in questo caso il governo omette di dire che quelle risorse sono state prima eliminate e poi riassegnate.
Di nuovo nella manovra c’è la flessibilità ottenuta per 3,6 miliardi di euroa favore della ricostruzione di ponte Morandi e il già citato rischio idrogeologico. Il resto sono promesse tutte da verificare: i «tredici miliardi messi a disposizione dalle aziende pubbliche nei rispettivi piani», «l’istituzione di una struttura di missione per coordinare le politiche del governo» e un’ulteriore struttura «per la progettazione di beni ed edifici pubblici». I tentativi per centralizzare la regia degli investimenti – in particolare quelli di natura europea – risalgono al secondo governo Berlusconi. Per far ripartire gli investimenti – è sempre opinione diffusa degli esperti – occorre semplificare le procedure e modificare il codice degli appalti. Su quest’ultimo punto il governo ha appena chiesto la delega al Parlamento e una drastica riduzione degli oneri per le opere di valore inferiore ai duecentomila euro.