Lo scontro tra Lega e M5S sui nomi dei candidati italiani per la Commissione Ue non è ancora partito. Ma ciò non vuol dire che i due partiti non stiano affilando le armi in vista della designazione. Solo dopo le elezioni del 26 maggio, e alla luce dei risultati, si aprirà il dibattito concreto sul nome che il premier dovrà sottoporre al futuro presidente della Commissione.
Il ruolo che Giuseppe Conte intende giocare sarà tutt’altro che formale. Spetterà proprio a lui partecipare il 28 maggio prossimo al pranzo di lavoro tra i capi di Stato e di Governo europei per una prima valutazione dei risultati elettorali e per preparare il vertice europeo del 20 e 21 giugno, ossia il Consiglio che dovrebbe decidere chi sarà il successore di Jean-Claude Juncker. I rapporti di consuetudine, amicizia e rispetto che Conte ha coltivato negli ultimi mesi con i colleghi dell’Unione gli hanno conferito un profilo di maggiore credibilità internazionale fino a ipotizzare da parte di qualche osservatore che anche lui stesso potrebbe essere un nome spendibile per il nostro Paese nell’esecutivo comunitario nel caso in cui la maggioranza tenesse ma ci si trovasse di fronte a un rimpasto e alla creazione di un nuovo Governo.
Il vicepremier della Lega Matteo Salvini ieri ha detto: «Io tornerei al pre Maastricht con regole economiche normali». Salvini si è definito un «europeista convinto» a differenza di socialisti e Ppe «che hanno trasformato il sogno dell’Europa in un incubo. Il bilancio dei prossimi sette anni dell’Europa è inaccettabile e va rivisto e va rivista la direttiva sulle banche che crea rischi all’intero sistema bancario». Per Luigi Di Maio «tornare a prima di Maastricht» è impossibile: «Le regole vanno cambiate, ma questo non vuol dire uscire dall’Ue. Non è nel contratto di governo e non esiste».
Tramontato il sogno impossibile di mantenere le tre grandi caselle occupate finora da italiani, vale a dire Bce, Parlamento europeo e Alto rappresentante per la politica estera Ue, un addendum al contratto di Governo sarà probabilmente indispensabile per stabilire su quale nome e su quale portafoglio puntare. Finora Salvini ha parlato del commissario all’Agricoltura o all’Industria sottovalutando forse il fatto che si tratta di due portafogli molto marginali in quanto a potere di incidere sul collegio degli Commissari e sugli altri Stati membri. Inoltre ha detto che la scelta del nuovo presidente della Bce dipenderà dall’esito del voto. I 5 stelle pensano che puntare al commissario per gli Affari sociali consentirebbe loro di avere voce in capitolo nelle politiche attive del lavoro. Ma anche qui c’è un’errata valutazione del potere di quel portafoglio. I nomi che si fanno restano sempre gli stessi: dal ministro ed ex parlamentare europeo della Lega, Lorenzo Fontana, a Luca Zaia, attuale presidente del Veneto. C’è anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giorgetti ma è ovvio che tutti (a cominciare dal Quirinale) ritengano che il candidato più spendibile a Bruxelles sia l’attuale ministro degli Esteri, Enzo Moavero, per la sua lunga esperienza nelle istituzioni comunitarie.
Un problema che riguarderà invece più l’opposizione che la maggioranza è il Parlamento europeo. Avere ancora un candidato italiano per quel posto dopo Antonio Tajani dipenderà molto dall’affermazione di Pd e Forza Italia, che fanno parte delle due grandi famiglie del Ppe e dei socialisti, alle quali, tranne sorprese o accordi con forze terze, spetterà il nome del presidente dell’assemblea di Strasburgo.
Tutto ovviamente è legato e la prima casella da occupare è quella di presidente della Commissione. Il candidato del Ppe Weber potrebbe però trovare la strada sbarrata dalla cancelliera Angela Merkel nel caso lei decidesse di candidarsi a succedere al polacco Donald Tusk a presidente del Consiglio Ue.