Si è aperta la settimana in cui iniziano i sondaggi più delicati fra Roma e Bruxelles, quelli sul prossimo bilancio. Potevano arrivare in un momento migliore, sia per l’Italia che per la Commissione europea. Almeno due indizi segnalano in questi giorni quanto fragile sia la cornice entro la quale i diversi campi di forza – i 5 Stelle, la Lega e i ministri tecnici, i livelli più alti delle amministrazioni a Roma e a Bruxelles – dovranno cercare una sintesi.
In primo luogo, i dati sull’andamento dei mercati finanziari dicono che l’Italia oggi è, in senso tecnico, isolata in Europa. Non si registra alcun contagio o comunanza fra l’instabilità che caratterizza i titoli di Stato di Roma o la Borsa di Milano e il resto del continente. Da fine luglio il principale indice di Piazza Affari ha perso il 4,4% sull’indice europeo Eurostoxx 50 (e sarebbe di più se si togliessero da quest’ultimo le società quotate italiane). Quanto al debito, nell’ultimo mese i rendimenti dei titoli di tutta l’area euro – salvo la Grecia – sono rimasti stabili, mentre quelli dell’Italia sono saliti ogni giorno di più. Se i nuovi livelli si consolidassero su tutte le scadenze del debito, quanto accaduto nell’ultimo mese obbligherebbe i contribuenti italiani a pagare circa un miliardo in più in interessi sul debito solo per il 2019. Soprattutto, l’unicità della situazione italiana rende meno credibile che il governo invochi soluzioni un nuovo piano complessivo di interventi della Banca centrale europea.
Il secondo segnale dai mercati si incrocia con il primo, ma è legato alla politica: gli italiani continuano a indossare il portafoglio dal lato opposto a quello del cuore. Lo si è capito in questi mesi di ascesa nei sondaggi di Lega e 5 Stelle, fino quasi a sfiorare i due terzi dei consensi. Nel frattempo tuttavia le famiglie, con i loro risparmi, non hanno votato alcuna fiducia alla politica economica del governo. Dati ufficiali non sono ancora disponibili ma, malgrado i rendimenti più alti, gli italiani comuni non sono tornati a puntare sui titoli di Stato. Solo le banche del Paese e la Bce sembrano essere subentrati agli investitori stranieri che, secondo i dati della Bce, in giugno si sono liberati di debito italiano per 38,2 miliardi di euro. Le famiglie sono rimaste alla finestra, in attesa di capire se davvero potranno fidarsi.
Sarebbe il classico quadro di fondo nel quale la Commissione europea nei prossimi due mesi può esigere un’applicazione stretta delle regole di bilancio: la fiducia nella tenuta del Paese è così debole, che non si nota neanche fra gli elettori dei partiti di governo. A Bruxelles i motivi per chiedere che l’Italia riduca il deficit nel 2019 sono dunque solidi. In pratica però le conversazioni fra Roma e Bruxelles potrebbero rivelarsi più piene di sfumature. Non è per niente chiaro che la durezza di toni di Günther Oettinger, il commissario tedesco al bilancio, corrisponda in questo momento alle preferenze di Jean-Claude Juncker. Il navigato presidente lussemburghese della Commissione preferisce comunque evitare tensioni non necessarie.
Restano certo alcune linee rosse la Commissione Ue preserverà comunque, nel giudizio sulla prossima Legge di bilancio dell’Italia. La prima è che non produca un tale slittamento dei saldi di finanza pubblica che nessuna lettura delle regole, per quanto creativa e flessibile, basti a camuffare lo strappo. Il secondo vincolo di Bruxelles è di natura politica: sarebbe molto difficile offrire concessioni sulla Legge di bilancio, se il governo di Roma alzasse la temperatura al punto che Francia e Germania rifiutino in Consiglio dei ministri Ue un compromesso proposto dalla Commissione Ue sull’Italia.
Se non saranno calpestate queste linee rosse, non è invece impossibile che alla fine tra Roma e Bruxelles ci si accordi sulla base di alcuni principi: debito in calo anche nel 2019, deficit che non aumenta (al netto degli effetti di una crescita più lenta), e magari qualche limitato investimento «una tantum» in infrastrutture per il 2019 dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova.
Per questa Commissione Ue, che termina il mandato tra poco più di un anno, esistono ragioni politiche per esplorare gli spazi di un compromesso. La principale è che non vuole trasformare un’eventuale rottura con l’Italia in uno strumento nelle mani di Lega e M5S per la campagna per le europee del maggio 2019. Si avverte a Bruxelles anche una ragione tutta europea per voler evitare questa eventualità: in accordo più o meno formale con i deputati ungheresi di Viktor Orbán, con i francesi del Ressemblement (ex Front) National, i tedeschi di Alternative für Deutschland, i polacchi di Legge e Giustizia e vari altri, Lega e M5S possono oggi provare a costruire nel Parlamento europeo un’opposizione euroscettica ai popolari moderati, ai socialisti, ai verdi e ai liberali. Se quell’opposizione sarà abbastanza estesa e coesa, può paralizzare il programma delle forze vincenti di oggi.