La “nostra” democrazia sta cambiando. Non da oggi. Ma, da qualche tempo, i segni del mutamento appaiono più evidenti. In Italia come (e più che) altrove. Mi riferisco, specificamente, alla democrazia “rappresentativa”. E, in particolare, al declino dei partiti. Il principale canale della rappresentanza. La “democrazia dei partiti”, che abbiamo conosciuto nel corso del dopoguerra, si è trasformata in “democrazia dei leader”.
Anzitutto, perché i partiti si sono “personalizzati”.
Soprattutto, a partire dagli anni Novanta, dopo il crollo della Prima Repubblica. E dei partiti che l’avevano accompagnata. La svolta, allora, venne segnata da Silvio Berlusconi.
L’imprenditore dei media, presidente del Milan, che divenne imprenditore politico.
Giusto 25 anni fa, nel 1994, “scese in campo”, mutuando tecniche e linguaggi dall’impresa e dal calcio. Fondò “Forza Italia” e denominò “azzurri” i suoi elettori. FI apparve subito un “partito personale” – come lo definì Mauro Calise. Ideologia, organizzazione, dirigenti: tutti espressi da Berlusconi.
Riconducibili alla sua persona.
Alle sue aziende. Forza Italia era – e rimane – il “partito di Berlusconi”. Il Partito del Capo (definizione di Fabio Bordignon). Un modello riprodotto da altri soggetti politici. Con alterno esito. Ma, in una certa misura, tutti i partiti, dopo quella fase, si sono “personalizzati”. Fino a divenire, talora, “personali”.
In-distinguibili dalla persona del Capo.
Basti pensare, per primo, al partito, anti-berlusconiano, per definizione. L’Italia dei Valori. Il partito “di” Antonio Di Pietro.
Magistrato simbolo di “Mani pulite”. Censore implacabile dei conflitti di interesse del Cavaliere. L’IdV agisce in simbiosi con Di Pietro. A sua immagine. Mentre “scendono in campo” altri “partiti personali”.
Su basi diverse. Alleanza Nazionale, ad esempio, nasce nel 1995. A destra. Per superare il retroterra e il marchio post-fascista del MSI. Per andare oltre, Fini “personalizza” il partito. Lo trasforma nel Partito di Fini. Lo stesso percorso avviato, successivamente, da Mario Monti. Dopo l’esperienza di governo, dal novembre 2011 al dicembre 2012, si presenta alle elezioni del 2013 a “capo” di una coalizione centrista, de-nominata: “Con Monti per l’Italia”. Intorno a “Scelta Civica”. Il suo “partito personale”.
Gli unici partiti “im-personali”, fino a pochi anni fa, erano quelli con radici storiche più profonde. In primo luogo, il Partito Democratico. Sorto nel 2007. Dalla convergenza della Margherita e dei DS.
Post-Democristiani e Post-Comunisti. Insieme. Un Post-Partito, per echeggiare un testo di Paolo Mancini.
Confluenza di due partiti “condannati”, nella Prima Repubblica, a guidare il governo e l’opposizione. L’uno contro l’altro. Fino alla caduta del muro. Anche la Lega proviene dalla Prima Repubblica. Sorta dalle Leghe regionaliste, negli anni Ottanta e, soprattutto, dalla Lega Nord per l’indipendenza della Padania, negli anni Novanta. Guidata da Bossi e, quindi, da Maroni. Tuttavia, nell’ultimo decennio, entrambi, PD e Lega, si sono “personalizzati”. Il PD è divenuto PDR. Il Partito di Renzi. Mentre la Lega si è trasformata “radicalmente”. Matteo Salvini l’ha de-territorializzata. La Lega Nord è divenuta Nazionale. E sovranista. Ha occupato lo spazio lasciato vuoto, a Destra, da FI e da AN. E Salvini le ha dato il suo volto.
Infine, c’è il M5s. L’ultimo arrivato. Un non-partito.
Collettore dei ri-sentimenti politici. Privo di una specifica connotazione “personale”.
L’unica figura in grado di identificarla è (stato) Beppe Grillo. Un anti-politico per definizione. Leader della “comunicazione” post-televisiva. Della dis-intermediazione, prodotta da internet e dai Social.
Così, è possibile leggere la storia recente della politica e della democrazia in Italia come un percorso “oltre” i partiti.
Orientato dall’ascesa dei leader.
Oggi i “partiti” sono largamente declinati. Solo l’8% degli italiani esprime fiducia nei loro riguardi. Mentre oltre il 40% pensa che la democrazia possa funzionare anche senza i partiti.
E quasi 6 elettori su 10 (sondaggio di Demos, dicembre 2018) sostengono la necessità di “un leader forte a guidare il Paese”. I più convinti: gli elettori della Lega: oltre 8 su 10. Poi, gli elettori di Forza Italia (76%).
Ispirati dall’inventore del modello. Quindi: la base del M5s. Un non-partito, che non dispone di “un leader forte”. Ma beneficia del sentimento anti-partitico diffuso. Mentre i suoi elettori si affidano all’unico vero “leader forte” al governo.
Matteo Salvini. Si spiega anche così il loro ripiegamento elettorale, in questa fase.
Il Pd, infine, soffre della crisi post-PdR. Doppiamente. Perché è difficile, per non dire impossibile, per una base elettorale che ha memoria dei “partiti di massa” sentirsi a casa in un partito personale. Il PdR. E perché nessuno degli attuali candidati, in corsa alle Primarie, appare in grado di “personalizzarlo”. (Per fortuna…).
Così, la nostra democrazia si sta trasformando alle fondamenta. I partiti, vecchi e nuovi, si stanno personalizzando. E, per questo, l’intero sistema politico è divenuto instabile. Perché i partiti personali sono legati ai leader. Sorgono e affondano assieme a loro. Com’è avvenuto a IdV, Scelta Civica, AN. Alla stessa FI. Mentre il PD ha sofferto e soffre della propria mutazione in PdR. Quanto al M5s, risente del “minor tasso di personalità” rispetto alla Lega di Salvini. E la stessa Lega: cosa (ne) sarà dopo Salvini?
In generale, è evidente che la democrazia italiana si sia personalizzata. Insieme ai partiti. Spinta dai media. Vecchi e ancor più nuovi. Dalla TV, dalla rete, dai social. Così, stiamo diventando una “Repubblica personale”. Di fatto. In modo im-personale e in-consapevole.