Il clima economico, in Italia, è autunnale. Così suggeriscono i principali istituti di indagine, ma anche le agenzie di rating. Non solo per l’Italia. Anche per gli Usa e per l’Europa. Dunque, tanto più per noi. Tuttavia, il clima d’opinione, sui temi del lavoro e dell’economia, secondo il sondaggio condotto nei giorni scorsi, dall’Osservatorio sul Capitale Sociale di Demos-Coop, appare meno pessimista. Meno scuro. La stessa tendenza, d’altronde, era emersa alcuni mesi fa nell’indagine curata dall’Osservatorio europeo sulla Sicurezza (Demos-Fondazione Unipolis). Anche allora si osservava un calo delle preoccupazioni economiche, rispetto agli anni precedenti, nonostante il persistere delle ragioni che le alimentano. Per spiegare questo mutamento, inatteso, avevamo evocato una definizione di Hannah Arendt: “La banalità del male”. L’attenuarsi delle paure dipenderebbe, almeno in parte, dall’abitudine. Così sembra avvenire, in Italia, anche in riferimento lavoro. Nonostante le statistiche e le previsioni parlino di declino. Perfino di recessione. Certo, l’inquietudine non si è dissolta. I timori, intorno al lavoro e all’economia, in Italia, persistono, come emerge nel sondaggio di Demos per Coop. Per “ragioni ragionevoli”. Quasi 6 italiani su 10, infatti, ritengono che ai giovani convenga andarsene all’estero. Come stanno già facendo da anni. Perché avranno pensioni molto “povere”. E perché, per i giovani, “emigrare” fornisce l’unica speranza di fare carriera. Di trovare un lavoro adeguato alle loro aspettative. In generale, quasi metà della popolazione considera “inutile fare progetti per sé e la propria famiglia”, vista l’incertezza futura. Poco più di un terzo si dice soddisfatto delle opportunità di lavoro. Ancor meno delle prospettive economiche. In Italia. Nel prossimo futuro, d’altronde, metà della popolazione intervistata pensa che la situazione lavorativa personale non cambierà. Mentre il 18% crede che potrebbe perfino peggiorare. Agli occhi di gran parte della popolazione, d’altronde, la nostra società è sempre più “spezzata”. Infatti, oltre 7 italiani su 10 (fra quelli intervistati da Demos) pensano che le disuguaglianze siano aumentate. L’Italia appare, dunque, un Paese diviso. Non solo dal punto di vista territoriale, perché la percezione delle disuguaglianze, fra gli italiani sale via via che da Nord si scende verso Sud. Ma anche dal punto di vista della posizione sociale. Perché il disagio, per lo squilibrio nella distribuzione delle risorse e delle opportunità, si allarga fra le classi sociali popolari. Tuttavia, come abbiamo osservato in precedenza, il clima d’opinione, sui temi economici e del lavoro, è meno pessimista, rispetto agli anni recenti. L’incertezza verso il futuro, negli ultimi due anni, si è ridotta sensibilmente. Oggi coinvolge il 47% della popolazione (intervistata). Una componente elevata. Ma molto meno di due anni fa, quando pervadeva quasi i due terzi dei cittadini. Anche la soddisfazione della situazione economica del Paese viene espressa da una minoranza di persone: 28%. In crescita, tuttavia, rispetto a dieci anni fa. Insomma, la visione dell’economia e del lavoro, nella società italiana, è sicuramente “grigia”, come abbiamo scritto alcuni giorni fa. E non potrebbe essere diversamente. Tuttavia, l’atteggiamento che prevale non è la rassegnazione. Al contrario, si colgono alcuni segnali in contro- tendenza. Anzitutto, di fronte alla mobilità sociale – percepita. Per alcuni anni, è apparsa bloccata. Dal 2014 e fino al 2017, il peso di coloro che si collocavano nelle classi più bassa era cresciuto notevolmente. Fino a superare, nel 2014-5, la maggioranza della popolazione. In seguito, questo declino psicologico (e non solo) si è fermato. La tendenza si è invertita. E, oggi, la maggioranza degli italiani si riconosce nei “ceti medi”. La società italiana, per citare Giuseppe De Rita, si è nuovamente “ceto-medizzata”. Anche la percezione della disuguaglianza, per quanto estesa, appare ridimensionata. Mitigata, come si è detto, dall’abitudine a sopportare l’insicurezza. Siamo divenuti, cioè, dei “professionisti dell’incertezza”. Così l’abbiamo “normalizzata”. Anche perché il sentimento sociale, per tradizione, poggia su basi solide e stabili. Anzitutto, sulla famiglia. Quasi due terzi degli italiani, infatti, si dice soddisfatto della situazione economica della propria famiglia. E quasi 9 su 10 affermano che, nei prossimi anni, rimarrà stabile, oppure migliorerà.
È (anche) per questa ragione che il “pessimismo” sul futuro dei giovani appare meno “pessimista”. E proprio loro, i giovani, sono i meno pessimisti. Perché, quando se ne vanno altrove, sempre più numerosi, alla ricerca di opportunità di occupazione coerenti con le loro aspettative e le loro competenze, mantengono rifermenti stabili. Rassicuranti. Perché, in Italia, hanno la famiglia che li sostiene. Partono e se ne vanno, ma possono tornare, se vogliono. Quando vogliono.
Perché l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro – incerto. E sulla famiglia. Sicuramente sicura.