Il linguaggio della politica, in Italia, è poco apprezzato. Ma affolla i media e i discorsi pubblici. Nel bene e (soprattutto) nel male. I nomi dei partiti e dei loro leader, infatti, vengono valutati — e pronunciati — in prospettiva diversa. Lo ha (di)mostrato la “Mappa delle parole” realizzata, nelle scorse settimane, in base a un sondaggio di Demos-Coop. La rappresentazione delle parole della politica nello spazio definito in base al “sentimento” e alla “proiezione verso il futuro” appare “significativa”.
Densa di significati. Anzitutto, sul piano del “sentimento”.
Tutti i leader e i loro partiti, infatti, sono percepiti e collocati nello spazio del dis-piacere. Ad eccezione di una “parola” che non si riferisce a una personalità, ma a un modello. Il “leader forte”.
D’altronde, da molto tempo, una larga maggioranza degli italiani (circa i due terzi) è d’accordo con l’affermazione che il Paese abbia bisogno di essere “guidato da un uomo forte”. Così gli italiani valutano i leader, in prospettiva futura, in base a questo principio.
Matteo Salvini, di conseguenza, svetta su tutti. Nella mappa semantica degli italiani, è il “capo” del futuro. Affiancato dalla “sua” Lega. Davanti a Luigi Di Maio, al limite fra presente e futuro. Anch’egli davanti al M5s. Il partito che guida. Molto più in basso, nello spazio del presente meno gradito, gli italiani collocano i due partiti che hanno guidato il Paese nella cosiddetta Seconda Repubblica. Forza Italia e il Partito Democratico. Segno di come i partiti, per quanto identificati con i leader, “resistano” maggiormente, presso l’opinione pubblica.
Partiti e Leader, in ogni modo, delineano una relazione sempre più stretta. Una tendenza avviata da Silvio Berlusconi, che ha costruito e imposto il suo “partito personale”, negli anni Novanta. Tracciando un percorso irreversibile per tutti. Il PD, erede dei partiti di massa del dopoguerra, DC e PCI, è divenuto, anch’esso, PDR. Il Partito di Renzi. E la Lega: LDS.
Lega Di Salvini. Mentre il M5s ha mantenuto un profilo diverso. Si definisce, infatti, un “non-partito”. Tuttavia, la sua immagine è proiettata in alto.
Verso il futuro. Ma “sotto” a Salvini. E ciò è significativo del rapporto fra Leader e Partiti.
Che oggi è trainato dai leader.
In questa fase: da Salvini. Che interpreta bene la parte dell’italiano inquieto e “incazzato”. Con grande successo di pubblico. Secondo alcuni sondaggi “estivi”, infatti, la Lega è cresciuta fino a raggiungere, se non a superare, il M5s.
Tuttavia, un legame tanto stretto fra i partiti e i loro capi genera in-stabilità. Perché i partiti, nel passato, si erano radicati attraverso un sistema di rapporti con il territorio. Non per nulla la mappa elettorale, per decenni, ha mantenuto gli stessi “colori”. Nonostante i partiti siano cambiati. Alcuni scomparsi, altri sorti oppure ri-sorti. Mentre altri hanno cambiato nome e identità. Fino a circa dieci anni fa nelle zone “bianche” del Nord Est e nelle province pedemontane del Nord si è sempre votato per la DC, poi per il Forza-Leghismo (e il suo reciproco: Lega-Forzismo). Mentre nelle Regioni (rosse) del Centro hanno sempre prevalso i partiti di Sinistra. Solo nel Mezzogiorno e nelle aree metropolitane del Nord (ovest) il voto ha assunto un andamento più incerto. Per ragioni diverse. Ma oggi, anzi: da ieri, la geografia politica italiana è cambiata. Il M5s, per primo, nel 2013, si è imposto come un partito “nazionale”.
Seguito, alle Europee del 2014, dal PDR. Alle ultime elezioni, però, si è consumata la fine delle “zone rosse”. Insieme alla crisi dei partiti di Sinistra.
Mentre il Lega-Forzismo ha conquistato il Nord ma anche il Centro. Per scendere verso Sud. E il M5s, pur ottenendo risultati significativi nel Nord, ha “unificato” il Mezzogiorno.
Così, la Mappa nazionale ha riprodotto, in qualche misura, la tradizionale frattura Nord-Sud. Ma, al tempo stesso, ha assunto “alcuni volti” precisi. Più dei colori politici, oggi, i territori si riconoscono nei “politici”. Meglio: “contro i politici”. Soprattutto perché sono cresciuti gli umori anti-politici. E più del sentimento conta il ri-sentimento. Per questo, il volto di Salvini, la rabbia dei 5s contro l’establishment, funzionano meglio di bandiere e manifestazioni di partito.
Ma ciò spinge verso un’instabilità patologica. Basta guardare la Mappa che riproduce la percezione dei principali leader di partito negli ultimi anni. Renzi: nel 2014 occupava lo spazio del futuro gradito. Oggi: è al fondo del fondo. Nel presente senza speranza. Come Berlusconi.
Mai troppo amato. Ma, comunque, nel 2010, riferimento obbligato del (ri)sentimento e la visione degli italiani. Mentre Salvini, in due anni, ha rovesciato la propria immagine. Oggi è il futuro.
Temuto da molti. (Ma molti meno di ieri). Infine, Di Maio, il leader del non-partito, il M5s, appare proiettato verso il futuro. Assai più del fondatore, Beppe Grillo. Tre anni fa.
Certo, si tratta solo di parole. E le parole possono cambiare segno e importanza in breve tempo. Come mostrano queste mappe. Che suggeriscono un futuro incerto. Perché se i partiti sono riassunti dai leader, è difficile immaginare il futuro.
Basta vedere come il loro gradimento personale sia cambiato. In pochi anni.
D’altronde, se la politica è fatta da leader senza partiti, che hanno rimpiazzato la società e il territorio con i media e con la rete, allora è lecito temere che tutto possa cambiare. Molto in fretta. Perché senza partiti, senza società, senza territorio: per la politica non c’è futuro.
Ma solo il presente. Incerto.