Nelle stesse ore hanno parlato entrambi di «interessi» a 1.500 chilometri di distanza. A Roma, nel suo discorso alla Camera, lo ha fatto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte martedì nel parlare della linea che il suo governo seguirà a Bruxelles. A Berlino, lo aveva fatto il giorno prima la cancelliera Angela Merkel spiegando le proposte che la Germania avrebbe portato al vertice europeo di fine mese. E a nessuno dei due dev’essere sfuggito che il modo in cui hanno parlato di «interessi» è suonato così diverso da essere inconciliabile.
Conte, almeno in apparenza, ha avuto le parole più cariche di ottimismo.«Siamo di fronte a una situazione in cui gli interessi dell’Italia vengono a coincidere con gli interessi generali dell’Europa — ha detto il premier —. Quale Paese fondatore, abbiamo pieno titolo di rivendicare un’Europa più forte e anche più equa, nella quale l’Unione economica e monetaria sia orientata a tutelare i bisogni dei cittadini per bilanciare i principi di responsabilità e di solidarietà». Dunque per l’italiano ciò che è bene per il suo Paese lo è anche per l’Europa, e viceversa.
Merkel è stata invece molto concreta e poco retorica in un’intervista al domenicale della Frankfurter Allgemeine Zeitung. Del clima antitedesco che serpeggia nella maggioranza di governo in Italia ha detto: «La mia esperienza mi insegna che è meglio per tutti se ci concentriamo sul merito. E qui ovviamente ognuno ha i propri interessi». In altri termini per lei l’interesse della Germania non coincide con quello dell’Europa, ma nep-pure quello dell’Italia lo fa. «Quanto più ci portiamo rispetto a vicenda, tenendo conto dei reciproci interessi, tanto meglio è», dice Merkel, perché «finora con il dialogo abbiamo sempre trovato soluzioni accettabili per tutti».
A questo proposito la cancelliera domenica ha presentato un paio di proposte per il prossimo vertice europeo, di cui il mondo politico in Italia non sembra essersi accorto. Ed è un paradosso, perché confermano la visione di Merkel: gli interessi di Germania e Italia non necessariamente coincidono. La prima proposta non è altro che una versione ridotta in modo quasi umiliante dell’idea di Emmanuel Macron di un bilancio comune per investimenti che sostenga l’area euro. Il presidente francese propone un fondo «di alcuni punti di prodotto interno lordo» dell’unione monetaria, dunque di alcune centinaia di miliardi di euro. La cancelliera invece si dice «molto a favore» di uno strumento «di alcune decine di miliardi di euro». Del resto già il fondo proposto da Jean-Claude Juncker nel presentarsi come presidente della Commissione — 130 miliardi — quasi non ha lasciato traccia data la sua esiguità.
In contropartita però Merkel propone anche qualcosa che coincide con gli interessi tedeschi — almeno nella percezione di Berlino — ma contrasta direttamente con quelli dell’Italia. «Il meccanismo europeo di stabilità Esm deve diventare un Fondo monetario europeo». Le funzioni sono allargate: non solo grossi prestiti di emergenza a scadenza trentennale, anche prestiti limitati a cinque anni e vigilanza diretta sulle economie dei diversi Paesi (una funzione che oggi spetta alla Commissione Ue). Con in più l’autorità di imporre una ristrutturazione del debito pubblico di un Paese se lo si ritiene giusto: in sostanza il nuovo Fme potrebbe decidere il default «ordinato» di uno Stato prima di prestargli le risorse necessarie ad andare avanti. Dice Merkel: «Un Fme con tali competenze deve avere la facoltà di giudicare la situazione economica di tutti gli Stati membri, valutarne la sostenibilità del debito e disporre di strumenti adeguati per ripristinarla, qualora necessario».
Si tratta dunque di un potere molto coercitivo, con un governo di fatto nelle mani della Germania stessa e del Bundestag. «L’Fme deve essere organizzato come una struttura intergovernativa» dice Merkel, dunque con diritti di veto per chi — come sarebbe il caso solo per Germania e Francia — ha più del 20% del capitale. Ovviamente, aggiunge la cancelliera, «nel rispetto dei relativi diritti dei parlamenti nazionali». Significa che sarebbe il Bundestag, con le sue pulsioni politiche non prive di populismo di destra, ad avere di fatto l’ultima parola sulla vigilanza e l’eventuale «bail in» — sforbiciata sui detentori di bond — del debito pubblico di Paesi terzi. Una prospettiva, la storia recente insegna, di per sé destabilizzante sui mercati. L’area euro diventerebbe per legge un governo dei creditori sui debitori, deciso dalle preferenze politiche dei primi.
Il governo gialloverde dell’Italia promette di essere «assertivo» in Europa.Dovrebbe dunque essere pronto a porre un veto su una svolta del genere al vertice Ue del 28 e 29 giugno. Ma qualcosa minaccia di indebolirlo: con tutto il deficit che promette di fare, l’Italia rischia di restare sola. Gli altri Paesi vedrebbero nella sua resistenza dell’opportunismo, non l’«interesse di tutti».