Nessuno può chiamarsi fuori. Nessuno può dire di aver fatto fino in fondo il proprio dovere, nel pubblico o nel privato, poco importa. ‘I giorni sbagliati’, romanzo d’esordio per Jacopo Tondelli – giornalista e oggi direttore de Gli Stati Generali – è un’accusa dura e diretta all’attuale classe dirigente italiana. Ad accomunare politici, giornalisti, magistrati, funzionari dei ministeri, professionisti, alte cariche delle forze dell’ordine è l’ignavia. È il gesto delle spallucce di una generazione rassegnata all’impossibilità di ‘cambiare le cose’ senza neppure fare la mossa di provarci, anzi, decisa a far scivolare le proprie carriere sull’onda delle relazioni con il più forte, il più potente, il più influente. Non ci sono antieroi in questo romanzo dal volto tricolore. Le figure che si muovono sullo sfondo di una Milano che dalla metà degli anni Novanta acquista velocità e cambia vertiginosamente, diventando l’unica metropoli italiana al prezzo di espellere la sua parte più genuina, sono autoreferenziali, mediocri, inclini ai proclami e abili a intercettare le pulsioni del pubblico, del capo, della persona utile in quel frangente. È la scomparsa della società e dei suoi valori, del bene collettivo e della collettività. ‘Ognun per sé, Dio per tutti’, si diceva un tempo. Qui, non è rimasto nulla di religioso, solo egoismo e nemmeno le buone maniere di facciata. L’amarezza è l’unico sentimento possibile dopo aver letto questo romanzo.
Dalle pagine trapela quello che forse è stato un innamoramento giovanile dell’autore per la politica e il suo successivo disincanto, la sfiducia di fondo per istituzioni governate con logiche personalistiche e la delusione per il sistema mediatico italiano. Un giornalismo incapace di svolgere la sua funzione di ‘cane da guardia del potere’, sempre più incline al sensazionalismo, seduto sui propri luoghi comuni e capace di frustrare e ‘normalizzare’ anche i suoi migliori talenti.
La costruzione cinematografica offre un ritmo incalzante, le pagine si succedono frenetiche e l’ultima metà del libro volerà d’un fiato. Molto interessante il modo in cui il lettore viene attirato e agganciato alla storia e ai personaggi: comincia con la cronaca nera raccontata in stile giornalistico, asciutto e distaccato, prosegue come un giallo che coinvolge e incuriosisce, si conclude come un noir cupo e avaro di speranze.
Il lettore attento troverà note di Raymond Chandler, il suo pessimismo per una società corrotta, marcia, spogliata di civil servants e priva di senso della storia. Tuttavia Tondelli non ha trovato un cavaliere bianco disposto a cedere il passo al bene superiore, a smettere le proprie finzioni per un momento se pur breve di autenticità. Nessun Philip Marlowe verrà a salvarci col suo stretto codice morale, semplicemente perché non c’è, considerato che nessuno di noi è esente da responsabilità.