La linea italiana sui dazi potrebbe cambiare. In questa intervista il nuovo sottosegretario dello Sviluppo economico Michele Geraci apre nuovi scenari rispetto alla linea dell’ex ministro Calenda. Geraci, la cui delega al commercio estero dovrebbe essere ufficializzata nei prossimi giorni, usa un approccio tecnico alla battaglia protezionistica in corso e alla stretta Usa in risposta alla Cina. «È?molto semplice. Il mio primo atto sarà fare elaborare uno studio di impatto su base produttiva e territoriale dei settori del made in Italy. Valutati i numeri, potremmo lasciare tutto così com’è o potremmo andare a Bruxelles a battere i pugni con la Ue per chiedere ad esempio di proteggere determinati settori che soffrono di più per occupazione e competitività. Magari in alcune aree specifiche, il Nord-Est o il Sud, una regione piuttosto che un’altra, magari per un tempo limitato. Ad esempio un anno. Faremo un’analisi costi-benefici anche per capire se in alcuni casi una parziale perdita di Pil può essere compensata in termini di maggiore equità e posti di lavoro».
L’idea è quella di «dazi selettivi, per obiettivi specifici e in alcuni casi anche di breve termine. Senza dogmi». «Dico solo – aggiunge Geraci, nominato nel governo in quota Lega – che la Cina ha i dazi più alti, gli Usa quelli più bassi, la Ue è nel mezzo. La Cina spicca per surplus commerciale, gli Usa per deficit. Quindi l’idea che se applichi i dazi penalizzi il surplus e vai in deficit non trova corrispondenza immediata nei bilanci commerciali». Geraci, docente di finanza, grande conoscitore della Cina dove ha insegnato, ha un’idea “tattica” del protezionismo. Nelle stesse ore in cui si teneva quest’intervista, in audizione al Senato il ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio confermava una linea “laica” sul tema. «Mentre l’Europa è aperta a ogni tipo di trattato, Cina e Usa si stanno chiudendo. Il dazio non è per forza una porta che chiude tutto, soprattutto se in alcuni casi una determinata importazione rischia di danneggiare il made in Italy».
Con Di Maio, il sottosegretario Geraci dovrà confrontarsi anche sul delicato argomento della promozione del made in Italy che nel 2019, tra fondi ordinari e straordinari, avrebbe 80 milioni in meno di dotazione rispetto ai 180 milioni del 2018. «So che il Piano straordinario che abbiamo ereditato ha bisogno di essere rifinanziato. Non posso prendere impegni adesso in vista della manovra, ma ci lavoriamo: valuteremo le singole iniziative, le fiere, i risultati marginali». Poi c’è una questione di strategie. Di Maio annuncia l’obiettivo di portare gli esportatori da 215mila a 300mila, innalzare il fatturato medio da export oltre i 500mila euro e i Paesi target per impresa a 5, aumentare la quota di esportazioni al Sud ferma al 12%. «La mia impressione, maturata anche nella mia esperienza cinese, è che l’Italia sia andata all’estero spesso senza fare sistema. Senza presentarsi come “brand Italia” ma con imprese che apparivano solo in concorrenza tra loro. Non è questo il modello che seguono Francia e Germania. In Cina siamo un corpo unico solo quando si parla di moda o di calcio, molto meno ad esempio se si tratta di presentarsi e aumentare quote nel mercato del vino». Pechino torna spesso nei discorsi di Geraci, «ma lo sguardo in futuro dovrà andare molto di più al Sud-est asiatico, finora trascurato, e anche al Mercosur in cui potremmo guadagnare quote grazie alla trade diversion innescata dai dazi di Trump».
Geraci, che oggi parteciperà alla presentazione del rapporto annuale dell’Ice,ha messo in agenda anche qualche novità sull’attrazione degli investimenti esteri. «Ho un’idea precisa. Bisogna favorire gli investimenti greenfield innanzitutto e poi brownfield. Ma dobbiamo porre dei “paletti” alle operazioni di merger and acquisitions, per esempio consentendo di raggiungere il 100% solo gradualmente. Anche in questo caso si può pensare a interventi mirati per alcune aree territoriali». Tra le multinazionali, intanto, c’è chi guarda con preoccupazione alle norme sugli incentivi ed il contrasto alle delocalizzazioni. «Lei dice? A me chiedono solo se in Italia ci sono competenze professionali adeguate. Il punto vero è che con questa norma filtreremo, attraendo in Italia solo investimenti stranieri solidi e di qualità».
Con Di Maio, il sottosegretario Geraci dovrà confrontarsi anche sul delicato argomento della promozione del made in Italy che nel 2019, tra fondi ordinari e straordinari, avrebbe 80 milioni in meno di dotazione rispetto ai 180 milioni del 2018. «So che il Piano straordinario che abbiamo ereditato ha bisogno di essere rifinanziato. Non posso prendere impegni adesso in vista della manovra, ma ci lavoriamo: valuteremo le singole iniziative, le fiere, i risultati marginali». Poi c’è una questione di strategie. Di Maio annuncia l’obiettivo di portare gli esportatori da 215mila a 300mila, innalzare il fatturato medio da export oltre i 500mila euro e i Paesi target per impresa a 5, aumentare la quota di esportazioni al Sud ferma al 12%. «La mia impressione, maturata anche nella mia esperienza cinese, è che l’Italia sia andata all’estero spesso senza fare sistema. Senza presentarsi come “brand Italia” ma con imprese che apparivano solo in concorrenza tra loro. Non è questo il modello che seguono Francia e Germania. In Cina siamo un corpo unico solo quando si parla di moda o di calcio, molto meno ad esempio se si tratta di presentarsi e aumentare quote nel mercato del vino». Pechino torna spesso nei discorsi di Geraci, «ma lo sguardo in futuro dovrà andare molto di più al Sud-est asiatico, finora trascurato, e anche al Mercosur in cui potremmo guadagnare quote grazie alla trade diversion innescata dai dazi di Trump».
Geraci, che oggi parteciperà alla presentazione del rapporto annuale dell’Ice,ha messo in agenda anche qualche novità sull’attrazione degli investimenti esteri. «Ho un’idea precisa. Bisogna favorire gli investimenti greenfield innanzitutto e poi brownfield. Ma dobbiamo porre dei “paletti” alle operazioni di merger and acquisitions, per esempio consentendo di raggiungere il 100% solo gradualmente. Anche in questo caso si può pensare a interventi mirati per alcune aree territoriali». Tra le multinazionali, intanto, c’è chi guarda con preoccupazione alle norme sugli incentivi ed il contrasto alle delocalizzazioni. «Lei dice? A me chiedono solo se in Italia ci sono competenze professionali adeguate. Il punto vero è che con questa norma filtreremo, attraendo in Italia solo investimenti stranieri solidi e di qualità».