Il Documento di economia e finanza è sostanzialmente pronto, ma il governo uscente di Paolo Gentiloni potrebbe attendere ancora due o tre settimane prima di presentarlo in Parlamento. La scadenza, non perentoria, sarebbe quella del 10 aprile, ma se a seguito delle consultazioni appena avviate dal Quirinale emergessero gli spazi per la formazione di un nuovo esecutivo in tempi ragionevoli, il compito di elaborare e presentare il Def sarebbe lasciato ai nuovi inquilini di Palazzo Chigi e al nuovo titolare dell’Economia.
Contatti in questo senso, confermano fonti dell’esecutivo, sono già in corso tra il premier in carica, Paolo Gentiloni, i nuovi presidenti della Camera, Roberto Fico, e del Senato, Elisabetta Casellati, e soprattutto i leader dei principali partiti. Se si andasse verso la formazione di un nuovo esecutivo, si sottolinea, sarebbe più logico che a presentare il Documento fosse il nuovo governo. A Gentiloni, invece, spetterebbe la presentazione del Def di fronte al protrarsi della crisi oltre le due o tre settimane. La possibilità di uno slittamento delle scadenze, fanno notare le stesse fonti, sarebbe stata considerata dalla Commissione europea anche sulla base di analoghi precedenti in altri Paesi membri dell’Unione.
In ogni caso, se fosse il governo Gentiloni a presentare il Def, si tratterebbe di un documento molto asciutto, con l’aggiornamento dei dati sull’andamento dell’economia e della finanza pubblica, e l’indicazione dell’andamento tendenziale delle principali grandezze del bilancio (entrate, uscite, disavanzo, debito) sulla base della legislazione attualmente vigente. Senza dunque ricette o opzioni politiche per l’impostazione della manovra di bilancio del 2019, di cui il Def è il primo passo.
Nonostante la decisione di Eurostat di includere nel deficit la spesa per il salvataggio delle banche venete, e di rivedere anche il debito per lo stesso motivo, secondo il Tesoro, i conti pubblici italiani restano in linea con gli obiettivi. Anche se il deficit rivisto del 2017 sale al 2,3% rispetto all’1,9% raggiunto e all’obiettivo del 2,1% che era stato fissato, si tratta di una spesa una tantum , che dunque non incide sul disavanzo strutturale, che viene tenuto sotto controllo dalla Ue.
Con la riclassificazione aumenta anche il debito pubblico, dal 131,5% cui si era fermato a dicembre, al 131,8% con l’«effetto banche». Ma è pur sempre in calo, segnando un’inversione di tendenza attesa da molti anni, rispetto al 132% con cui si era chiuso il 2016.
Se per il Tesoro i conti sono al sicuro, nel centrodestra ci sono forti dubbi, di cui si fa espressione Renato Brunetta di Forza Italia. «Questi numeri — dice — certificano un’oggettiva difficoltà per i conti pubblici italiani ed espongono il nostro Paese al rischio di una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea». Se i conti sono migliorati, come sostengono il ministro Pier Carlo Padoan e il premier Gentiloni, che stanno entrambi elaborando un «Rapporto di fine mandato» da consegnare ai loro successori, non sono però al sicuro.
Il bilancio del 2019, per esempio, si «tiene» in buona parte grazie agli aumenti dell’Iva, previsti a legislazione vigente, che portano 12,5 miliardi di gettito (e 19 nel 2020 e negli anni successivi). Un inasprimento che tutti i partiti usciti vincitori dalle elezioni (ma anche lo stesso Pd) vorrebbero evitare, ma che bisognerà coprire con altre entrate o nuovi tagli di spesa di pari importo, non certo facili da individuare. A esaminare il Def, che sia del governo uscente o di quello nuovo, in attesa delle Commissioni di merito, saranno le Commissioni speciali di Senato e Camera. Al Senato la presidenza è andata al 5 Stelle Vito Crimi, alla Camera la reclama il Pd. Al momento con poche speranze.