La politica monetaria è stata largamente utilizzata e ha dato quello che poteva. Se l’Europa vuole uscire dalla trappola della stagnazione, è arrivato il momento di usare la leva delle politiche fiscali espansive. È questo uno dei messaggi che più interessano l’Italia tra quelli contenuti nel primo intervento pubblico di Paolo Gentiloni dopo la designazione a commissario europeo all’Economia. L’ex premier ha parlato ieri sera al festival Bergamo 4.0 in corso al Kilometro Rosso. «Non possiamo lasciare la crescita solo alla politica monetaria — ha detto Gentiloni —. A questa vanno associati strumenti di politica fiscale. Anche perché il rapporto medio tra debito e Pil in Europa oggi è all’84%. Basso se paragonato ad altri player globali». L’evidenza di un debito aggregato dell’eurozona non enorme non deve portare però a sottovalutare il nostro debito («Il fatto che la manovra a furia di bandierine stia rimuovendo il problema è pericoloso»).
Per Gentiloni l’Europa sta vivendo una fase di «rallentamento della crescita». Ma sarebbe sbagliato rassegnarsi alla stagnazione. L’Europa può rialzare la testa. «Abbiamo dimezzato la crescita rispetto al periodo 2014-2017. E non è in vista un rimbalzo nel 2020-2021, anche se questo rallentamento non prelude a una recessione», fotografa Gentiloni. Per poi delineare meglio i tratti distintivi di questo periodo di stagnazione: «Il rallentamento è concentrato nel manifatturiero e nell’export mentre non sta contagiando i servizi; non ha in media ricadute occupazionali rilevanti; è caratterizzato da inflazione molto bassa».
Per quanto riguarda l’Italia, «il nostro Paese è campione nella capacità di autorappresentarsi in modo negativo — dice Gentiloni —. Abbiamo bisogno di recuperare fiducia e guardare avanti». Operazione che l’Italia può fare «dentro l’orizzonte europeo perché l’Europa ci aiuta a guardare al futuro».
Se da una parte Gentiloni è convinto che l’Europa e l’Italia possano, anzi debbano, porsi l’obiettivo di una crescita sostenibile sul piano sociale e ambientale, dall’altra non ha nascosto che gli scenari potrebbero essere anche altri. Per esempio un periodo di stagnazione con tassi e inflazione a livelli molto bassi, quella che gli economisti chiamano “giapponesizzazione” dell’economia. O, peggio, una nuova recessione causata da uno shock esterno che però non si intravede all’orizzonte visti i recenti segnali di pacificazione tra Usa e Cina.
La Ue delineata da Gentiloni è campionessa di “multilateralismo”, punta alla sostenibilità sociale «perché dopo la crisi di Lehman Brothers sono aumentate troppo le disuguaglianze» e su un nuovo green deal: «Vogliamo fare della Ue l’attore più all’avanguardia nella transizione ambientale. Su questo l’Italia è uno dei Paesi più avanzati: non siamo dipendenti dal carbone come altri, e possiamo vantare un uso di fonti rinnovabili superiore alla media». «Il green deal offrirà grande opportunità di investimento e di innovazione», ha sottolineato il commissario, facendo presente anche che «il piano di investimenti Ue mobiliterà complessivamente 300 miliardi».
Ultime ma molto importanti, le politiche industriali. E qui Paolo Gentiloni ammette che «non sarà facile combinare l’esigenza della competizione nel mercato e l’esigenza di creare campioni nei vari settori in grado di reggere la competizione globale». Ancora sullo stesso tema, ai giornalisti che gli chiedevano un commento sul caso Ilva, Gentiloni ha risposto che quello impostato dal suo governo con Arcelor Mittal era il miglior accordo possibile e «ora i patti vanno rispettati».
Sulle sfide all’innovazione lanciate da Gentiloni si è inserito il confronto tra il manager Vittorio Colao e il banchiere Roberto Nicastro (vicepresidente Ubi) moderati dal vicedirettore del «Corriere della Sera» Daniele Manca. Colao non ha risparmiato una critica alle associazioni delle imprese: «Avrebbero dovuto chiedere con più forza maggiori investimenti sulla formazione e sulla scuola». E alle imprese in generale: «Troppo spesso si lasciano scappare i giovani più bravi perché non offrono subito chiare prospettive di carriera». Per Nicastro per invertire il trend della bassa produttività è snellire la burocrazia e favorire la digitalizzazione delle imprese. A partire dai piccoli.
*Corriere della Sera, 10 novembre 2019