«L’Europa non può aspettare la prossima crisi, per prendere delle decisioni sul completamento dell’Unione monetaria e il coordinamento delle proprie politiche di bilancio».
Da oggi Paolo Gentiloni assume l’incarico di Commissario per gli Affari economici e monetari dell’Unione europea. La Commissione è stata votata a Strasburgo da una maggioranza più forte di quella che in luglio votò Ursula von der Leyen, ma anche più eclettica e dunque fragile. Non è un rischio per questo nuovo esecutivo europeo?
«È una maggioranza meno automatica e scontata rispetto al passato, che avrà bisogno di una manutenzione politica costante. Ma il fatto di dover avere rapporti intensi con il Parlamento a me fa piacere. Paradossalmente questa frammentazione può far crescere il ruolo dell’Europarlamento, che potrà avere più voce in capitolo».
Alla vigilia del voto, Francia e Germania hanno fatto trapelare un paper sulla convocazione di una nuova Conferenza intergovernativa, che fra l’altro era già fra le proposte di Ursula von der Leyen. Che tipo di segnale è per il vostro lavoro?
«La nuova stagione dell’Europa deve partire all’insegna dell’ambizione. Nel mondo c’è un nuovo Grande gioco geopolitico, nel quale molti protagonisti globali ma anche alcuni attori interni in nome del nazionalismo hanno interesse a indebolire l’Unione europea. In questo quadro l’Ue è potenzialmente quello che io definisco l’unico possibile “gigante buono”, in grado di battersi per apertura economica, crescita sostenibile, clima, democrazia liberale. A condizione che il suo cammino non si fermi e anzi proceda più velocemente. La Conferenza è un’inversione di tendenza rispetto alla deriva intergovernativa degli ultimi anni. Il contributo franco-tedesco è utile, tanto più in un momento nel quale i due Paesi hanno visioni che non sempre coincidono. Penso che tra l’ambizione francese e la prudenza tedesca ci possa essere anche una forte iniziativa italiana. L’attuale governo ha lasciato alle spalle le tendenze all’isolamento. Fra queste, la ripresa dell’ipotesi di un trattato bilaterale con la Francia, che era stata messa in un cassetto».
Lei parla di tendenza all’isolamento alle spalle, ma il ministro Di Maio ha minacciato la crisi di governo se l’Italia non chiederà un rinvio sul Mes, il fondo salva Stati. Quali rischi comporta per l’Italia l’approvazione di questo nuovo strumento?
«La posizione italiana la chiarirà il presidente del Consiglio lunedì alle Camere. Da Commissario europeo posso dire che la riforma di cui si parla è stata fatta per introdurre un ombrello protettivo in caso di crisi bancarie non gestibili con gli strumenti attuali. Si tratta di un obiettivo positivo. Le modalità sono state negoziate tra l’autunno del 2018 e il giugno 2019. L’ultima parola spetterà ai parlamenti. Sull’Italia mi limito a dire che non ha bisogno di ombrelli, né per le sue banche, né per il suo debito, che va ridotto ma è perfettamente sostenibile. Invece, descrivere l’intesa sul Mes come un rischio o addirittura un complotto contro l’Italia può alimentare rischi sui mercati che oggi non esistono».
Ma voi come Commissione farete una proposta di compromesso sul Mes se si crea una situazione di stallo?
«Il compromesso è stato raggiunto nel giugno scorso. E, ripeto, non c’è alcun motivo tecnico o politico per definire quell’intesa un rischio per l’Italia».
Se l’Italia dovesse chiedere un rinvio, bloccando l’accordo, l’Europa come reagirebbe?
«Non vedo ragioni che possano spingere un singolo Paese a bloccare l’intesa sul Mes».
Per Alitalia e Ilva sempre più si profila un coinvolgimento in qualche forma dello Stato nel loro salvataggio. La Commissione potrebbe accettarlo o no?
«Innanzitutto è bene trovare soluzioni ragionevoli e in grado di reggere alla prova dei mercati. Non spetta a me prospettarle, ma credo che il governo sia perfettamente consapevole dei vincoli e delle regole europee».
Questa Commissione scommette sulla crescita. E molte delle sue proposte sono legate al Quadro pluriennale finanziario per i prossimi sette anni, sul quale però c’è un fronte di Paesi che non vogliono dotarlo di maggiori risorse, superando l’1% delle risorse proprie. Come si risolve questa contraddizione?
«Una cosa deve essere chiara ai cittadini europei: l’influenza economica delle decisioni della Commissione va bene al di là del bilancio della Ue, che è molto limitato nelle dimensioni. In realtà la nostra azione può innescare cambiamenti economici rilevanti, che non vanno letti solo con la lente del bilancio, che certo bisogna irrobustire. Parlo di scelte regolatrici, priorità, decisioni in materia fiscale, concorrenza».
Siete preoccupati dai rischi di una recessione?
«No. Ma siamo di fronte a un rallentamento della crescita che nel 2019, dopo aver viaggiato per alcuni anni sul 2%, sarà poco più dell’1%. Quanto prolungato sarà, è l’interrogativo sul quale lavoriamo. Esso deriva dai problemi del commercio internazionale e dalle difficoltà del settore manifatturiero. Certo di fronte a questo rallentamento, gli strumenti della politica monetaria, utilizzati con successo da Mario Draghi, continuano a essere necessari ma non saranno più sufficienti».
E come intendete muovervi?
«Su due grandi linee. Primo la transizione ambientale, che orienterà tutto, l’uso dell’energia, i modelli di consumo, le scelte strategiche di interi settori produttivi, qualcosa di simile a quanto successe negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. La Commissione, con il coordinamento di Frans Timmermans, proporrà incentivi e disincentivi, misure fiscali e regolatorie per favorire questa transizione. Sarà necessario un grande piano di investimenti pubblici e privati. La cabina di regia sarà sotto la mia responsabilità e si articolerà su due progetti: Invest Eu e Sustainable Europe, il primo dedicato ai diversi settori dell’innovazione, il secondo concentrato sul pacchetto climatico. Nel loro insieme — tra fondi europei, della Bei, delle casse depositi e prestiti dei vari Paesi e privati — dovrebbero mobilitare risorse nell’ordine di oltre 200 miliardi di euro l’anno. Il secondo capitolo riguarda le regole delle politiche di bilancio e la discussione non sarà semplice. Occorreranno passi in avanti sulla struttura dell’Unione monetaria: e qui torniamo all’assicurazione comune sui depositi, il bilancio dell’eurozona, gli eurobond e non ultimo un meccanismo di riassicurazione sulla disoccupazione, che proporrò nei primi mesi del prossimo anno e dovrebbe aiutare i Paesi in fasi di crisi occupazionale straordinarie. Il mio primo impegno politico sarà di ridurre le distanze con i Paesi che negli ultimi anni hanno ostacolato passi in avanti in questa direzione».
Come giudica la manovra italiana?
«La Commissione ha registrato per la prima volta che nessun Paese è sopra il 3% del rapporto deficit-Pil, risultato positivo delle politiche di sorveglianza. Ci sono ancora squilibri rilevanti. In particolare ci sono alcuni Paesi, fra questi l’Italia, che devono indicare percorsi convincenti sulla questione del debito. Altri Paesi come Germania e Olanda hanno surplus di bilancio notevoli che invece andrebbero utilizzati. Nel complesso la Commissione non ha respinto nessun bilancio, tantomeno quello italiano. Ma le sue valutazioni, che verranno sottoposte alla ratifica dell’Eurogruppo, andranno prese molto sul serio».