Si può essere laici su tanti investimenti, praticamente su tutti, ma in Italia se si parla di Generali la laicità non esiste. Ecco perché se un manipolo di investitori, che poi rappresentano forse i soggetti più liquidi del Paese mette euro sul titolo del Leone le speculazioni non tardano ad arrivare.
È cronaca dei giorni scorsi, Francesco Gaetano Caltagirone ha arrotondato la sua partecipazione al 4%, ma in molti scommettono che arriverà al 6%, i Benetton sono al 3% ma potrebbero arrivare al 5%, Leonardo Del Vecchio è lì con il suo 3,7% e DeAgostini ha l’1,7%, poi c’è Ferak con il suo 1,2% (anche se i veneti sono outsider in questo neo-fronte nazionale). Si sa che Mediobanca potrebbe scendere al 10% dal suo 13% entro il 2019.
Come sempre avviene quando si muovono anche piccoli pezzi sullo scacchiere del Leone, gli animi si agitano. Oltretutto in questa particolare fase, con una situazione politica fluida, la situazione di Telecom e l’avanzata di soggetti (politici) che sul tema Generali forse questa volta sì potrebbe avere un atteggiamento diverso dal passato. «Siamo contentissimi di avere una compagine azionaria di altissima qualità, fa sempre piacere» ha commentato Gabriele Galateri di Genola, presidente di Generali, rispondendo ieri a chi gli chiedeva un commento sul recente rafforzamento nel capitale del Leone di alcuni soci di peso.
Ed così, l’italianità di Generali è un tema più che in tutte le altre partite. Il Leone è il primo asset management italiano, gestisce 478 miliardi. È storicamente considerato l’ago della bilancia della finanza italiana, nei fatti è l’ultimo vero presidio della nostra finanza. Ha un ceo che risponde al nome di Philippe Donnet che in questi anni ha mantenuto nel piano industriale firmato dal suo predecessore Mario Greco la promessa di elargire ai suoi azionisti 5 miliardi di dividendi cumulati fino al 2018.
Quindi non dovrebbe esserci agitazione se soggetti molto liquidi si posizionano su un titolo che stacca buone cedole. E invece, come detto se si parla del Leone cambia tutto. Perché?
Uno: i soggetti che stanno prendendo posizione rappresentano non solo un fronte nazionale, ma hanno anche posizioni vicine a UniCredit. Jean Pierre Mustier guarda con interesse al Leone. Si era parlato dell’intenzione di creare una sub-holding in Mediobanca dove far confluire la quota di Generali, progetto sponsorizzato proprio da UniCredit, che di Mediobanca è il principale azionista. Non sfugge il legame tra gli azionisti del Leone e Piazza Gae Aulenti, gli incroci azionari e di interessi finanziari: Del Vecchio, Caltagirone ma gli stessi Benetton (UniCredit è l’unico istituto di credito italiano che sta nel consorzio che finanzia l’operazione Atlantia-Hochtief su Abertis).
Due, c’è chi vede in queste prese di posizioni, con piccoli investimenti (i Benetton avrebbero fatto un investimento nell’ordine dei 400-500 milioni, che per un gruppo che è impegnato in Abertis con un’operazione da 18 miliardi sembrano spiccioli) un modo per proteggere il Leone in un contesto di cambio di equilibri, con la vicenda Telecom Vivendi e Elliot che tiene banco nelle cronache finanziarie. Potremmo andare avanti intrecciando le relazioni e gli interessi, ma a poco serve, sul Leone è bello fantasticare, anche se poi questo è un sacrario, che alla prova dei fatti non è semplice violare, contiene il risparmio degli italiani, custodisce un centinaio di miliardi di debito pubblico, è l’unica vera multinazionale nazionale. Sulla carta si possono fare tanti ragionamenti, ma poi in questi vent’anni abbiamo assistito a molti tentativi, l’ultimo un anno e mezzo fa, senza che nulla sia poi effettivamente cambiato. Certo oggi la situazione della finanza italiana è diversa: il sistema bancario ha subito un cambiamento epocale.
Si è assistito a una polarizzazione, con la quasi sparizione della colonna intermedia delle banche locali. E da qui all’autunno qualcosa avverrà. Generali è un investimento sicuro, non eccellerà in Borsa, ma stacca cedole consistenti e a novembre Donnet licenzierà un nuovo piano industriale. Il settore assicurativo è soggetto a consolidamento e immaginarsi movimenti su Generali non è del tutto insensato. Staremo a guardare in attesa dell’assemblea del 19 aprile e di capire se questa volta l’imperativo di Enrico Cuccia verrà disatteso: «Le Generali non si toccano».