«Il 2017 è stato un anno molto positivo per noi: il gruppo Generali ha dimostrato, come si dice oggi, una buona resilienza. E ora ci prepariamo per il nuovo piano industriale. Con l’appoggio degli azionisti. L’ho verificato nei road show e lo dimostra il fatto che alcuni soci aumentano le proprie partecipazioni». Gabriele Galateri, presidente della più grande compagnia di assicurazioni d’Italia, guarda con attenzione ai movimenti che hanno interessato il suo capitale nelle ultime settimane: Francesco Gaetano Caltagirone è salito al 4% e i Benetton hanno superano la soglia del 3%. Domani all’assemblea che si terrà a Trieste la «mobile stabilità» di un nucleo di azionisti del Leone sarà probabilmente oggetto di qualche riflessione.
Lontani dal pensare a «scalate», come spiega questi passi? Si vuole rafforzare un «nocciolo» italiano?
«Non penso siano acquisti dettati da criteri di “nazionalità”. Direi piuttosto che i soci che incrementano gradualmente le quote nel nostro capitale guardino anche al dividendo, cresciuto da 80 a 85 centesimi, che a questi livelli di prezzo significa un rendimento superiore al 5-6%, ma soprattutto puntino alla creazione di valore. E in questo c’è allineamento con la volontà del management e del board: guardando all’andamento del nostro titolo risulta che, dall’Investor day del novembre 2016, quando abbiamo presentato la strategia sul business, l’azione Generali ha guadagnato oltre il 43%, contro un indice globale del settore che ha performato del 16%, il Ftse Mib del 40% e i nostri principali concorrenti che hanno guadagnato dal 2 al 25%. Non credo siano risultati che, come quelli di bilancio, siano passati inosservati».
Resta il fatto che alcuni investitori ormai «storici» si muovano nella stessa direzione: solo per ragioni economiche?
«Le Generali sono un asset importante per il Paese, con oltre 500 miliardi di patrimonio gestito che comprende anche un portafoglio di titoli di Stato, necessario per far fronte alle obbligazioni verso i clienti. Detto questo, sono le ragioni economiche a muovere gli investitori e in più va registrata una chiara sintonia fra azionisti, board e management, che rappresenta una solida base sulla quale nel 2018 verrà elaborato il nuovo piano strategico. Nel 2017 è stato rafforzato il vertice manageriale e Generali ha un team di grandissima qualità con in testa Philippe Donnet; il board è composto da personalità importanti, al suo interno sussiste una dialettica indispensabile perché vengano prese responsabilmente e in modo trasparente le decisioni più importanti per la guida del gruppo».
Dialettica significa anche diversità di vedute, conflitti .
«Significa che ciascuno porta competenze e opinioni che rendono il dibattito fecondo. E quasi sempre le decisioni sono prese all’unanimità».
Anche voi avete registrato una crescita importante dei fondi nel capitale.
«Il nostro azionariato è così suddiviso: i soci esteri detengono il 40%, gli italiani il 60%; il 41,25% è in mano agli investitori istituzionali, il 23,24% è nei portafogli di Mediobanca (13%), Caltagirone, Benetton, Del Vecchio (3,16%). Possiamo dunque ben dire, come ha ricordato Donnet, che siamo e vogliamo essere italiani, internazionali e indipendenti».
Axa ha appena realizzato un’acquisizione da 12,4 miliardi, circa metà della vostra capitalizzazione. Non vi sollecita qualche timore?
«No. Resto ancorato a un principio: la garanzia per restare autonomi è aumentare il proprio valore».
Compito che per le compagnie significa cambiamenti nel business model.
«Con una battuta posso dirle che il mestiere di assicuratore ha acquistato in fascino e modernità. L’innovazione, e in particolare la disponibilità e l’interpretazione dei big data, pervade tutti i settori e da noi rivoluziona la “fabbrica” dei prodotti, la distribuzione, che comunque ha sempre al centro gli agenti, l’obiettivo del nostro intervento, il cui focus si sposta sempre più sulla prevenzione, che stimola anche comportamenti virtuosi nella clientela».
E con i tassi a zero?
«Ancora: si tratta di cambiare. Dai prodotti tradizionali si passa alle unit-linked, si cresce nelle aree che producono commissioni, come il risparmio gestito e nella operatività sui grandi rischi come il cyber-crime, si risponde alla crescente domanda di prodotti salute, protezione e previdenza complementare: oggi la vita media mondiale è di 71 anni; nel 1955 era di 48. Per l’umanità l’invecchiamento è una conquista, per noi una sfida».