Qualcuno ha sobbalzato sulla sedia. Qualcun altro si è irritato. Altri ancora hanno pensato che non si trattasse poi di questa clamorosa rivelazione. Ma praticamente tutti si sono chiesti: perché ora? Cui prodest? Luigi Di Maio non commenta, ma il sentimento prevalente nei 5 Stelle — sia in ambienti governativi sia parlamentari — verso le dichiarazioni di Giuseppe Conte è lo stupore. E le parole del colloquio a Repubblica, dove ha parlato della sua voglia di continuare a fare politica in futuro, sono planate su questa fine d’anno in un clima di gelo. Aumentato dal post serale di Lorenzo Fioramonti che, dopo avere lasciato il governo, molla anche il Movimento, con parole durissime. E con una postilla, che suona come excusatio non petita: il trasloco sarà al Misto ma, precisa, «a titolo personale». Per smentire le voci che parlano della creazione di un gruppo autonomo a sostegno del premier.
Fioramonti accusa i 5 Stelle, sostenendo che da lì sono arrivati «gli attacchi più feroci». Spiega: «Il Movimento mi ha molto deluso. C’è un senso di delusione profondo, più diffuso di quanto si voglia far credere. È come se quei valori di trasparenza, democrazia interna e vocazione ambientalista si fossero persi nella pura amministrazione, sempre più verticista». Alle voci di una possibile scissione da parte dei «responsabili contiani», Conte ha messo le mani avanti, spiegando di essere fortemente contrario. Ma la sua presa di posizione è parsa nel Movimento più un atto dovuto che una reale volontà di restare fuori dall’agone. A conferma dei sospetti sono arrivate le parole di ieri, con le quali Conte ha spiegato di non riuscire a immaginare per se stesso «un futuro senza politica». Non è un mistero che nelle ultime settimane il premier si sia progressivamente smarcato dal Movimento, nonostante sia stato Di Maio a estrarlo dall’anonimato della vita forense, per portarlo sulla ribalta politica nazionale. E se nel Conte I il suo ruolo era quasi secondario, di garante del patto, nel successivo il premier si è ritagliato uno spazio maggiore. E sono arrivati i riconoscimenti, come quello di Nicola Zingaretti, che lo considera una sorta di «costola» della sinistra, per citare D’Alema.
Il premier non ha intenzione di fondare nuovi partiti, ma non esclude affatto l’ipotesi di aderire a uno di quelli esistenti. Il punto è perché senta la necessità proprio ora di sottolineare di non essere più un tecnico prestato alla politica. «È un segnale di debolezza — spiegano nel Movimento —. Perché annunciare ora il suo futuro politico, quando è il premier in carica? Evidentemente non crede molto nel presente». Qualcun altro, più ruvidamente, avverte: «Si ricordi da dove è venuto e chi lo ha portato fino a Palazzo Chigi». Di Maio non commenta. Ma qualche stupore ha suscitato la presunta volontà del governo di voler modificare Quota 100 e il reddito di cittadinanza. Tanto che, dopo un’interlocuzione con Palazzo Chigi, ha letto con soddisfazione la smentita. Perché su Quota 100, ragiona Di Maio con i suoi, non c’è discussione che tenga: «Noi non la tocchiamo, chi la vuole modificare non ce la farà, perché non ha i numeri». Conte, in realtà, alla conferenza stampa era stato molto più morbido. Spiegando: «A gennaio torneremo a interrogarci». Sul reddito di cittadinanza, che pure Di Maio ribadisce di non voler toccare, c’è invece più spazio di interlocuzione. Perché la misura è in vigore e nell’applicazione anche i 5 Stelle hanno visto disfunzioni ed errori da correggere.
Il nuovo anno porterà anche una stretta sui gruppi parlamentari. In queste ore gli ultimi ritardatari si stanno affrettando a rendicontare i mesi passati. Solo il 12 per cento fino a ieri aveva pagato tutto il dovuto, compreso novembre. Anche se per le regole del Movimento si è morosi, per ora, solo se non si è rendicontato da agosto. Fatto sta che in diversi hanno annunciato di non voler pagare. Tra questi c’è Mario Giarrusso, che vuole tenersi i soldi per pagare le spese legali. E diversi altri che contestano il metodo e il merito. Come il deputato Fabio Berardini che ritiene eccessiva la discrezionalità di Di Maio nel decidere la destinazione finale dei fondi,che per ora arrivano temporaneamente in un conto corrente intestato a un comitato costituito dal capo politico e dai capigruppo delle Camere. Anche Lello Ciampolillo sostiene di non voler pagare per «una forma di protesta interna». E attacca anche Conte, «che ha svenduto il Movimento sia sulla Tap che sulla xylella». Il Movimento 5 Stelle, però, si appresta a inaugurare la linea dura. Dai primi di gennaio, Di Maio e i probiviri studieranno sospensioni, se non espulsioni, per i morosi recidivi.