Un Europarlamento più frammentato rispetto a quello uscente, ma con una vasta maggioranza europeista. O, se preferite: un Europarlamento con una vasta maggioranza europeista, ma più frammentata rispetto a quella uscente.
Giratela come volete, la fotografia scattata ai seggi dagli elettori dei 28 Paesi Ue è questa. Poco mossa, in realtà. Nelle urne si è fatto sentire il vento nazional-sovranista che ha investito Emmanuel Macron a Parigi e che ha portato in trionfo Nigel Farage a Londra e Matteo Salvini a Roma, ma l’impatto complessivo sull’emiciclo è meno travolgente del previsto.
Il motivo? In altre parti d’Europa – a cominciare dall’Afd in Germania – la spallata delle destre è stata molto meno intensa. La pattuglia sovranista guadagna qualche seggio, ma rimane sotto quella soglia d’allarme che le avrebbe consentito di stravolgere i rapporti di forza nell’Aula di Strasburgo. L’unica che può cantare tranquillamente vittoria è l’affluenza: il tasso è tornato a crescere, invertendo il trend. Ha votato un europeo su due (cinque anni fa il tasso era del 42,5%).
Da oggi, quando i numeri saranno definitivi, si inizierà a parlare seriamente di coalizioni. Ma le proiezioni diffuse nella notte rendono possibili due soli scenari. È un dato di fatto il balzo in avanti dei Verdi, trascinati dal successo in Germania (grazie al secondo posto raddoppiano i seggi), Francia, Olanda e Irlanda. Con il 10% dei voti e quasi 70 eurodeputati (contro i 52 del vecchio Parlamento) «siamo pronti a far valere il nostro peso», come dice il belga Philippe Lamberts, capogruppo uscente. «Gli elettori ci hanno dato fiducia e ciò comporta una grande responsabilità» aggiunge la tedesca Ska Keller. Tradotto: vogliamo entrare nella nuova maggioranza.
Il bicchiere dei Verdi è indubbiamente mezzo pieno: mai avevano ottenuto un risultato simile. Eppure, dietro le quinte, un pizzico di amarezza c’è. Perché non saranno determinanti. E dunque il loro potere negoziale si ridurrà notevolmente. Come previsto, per la prima volta Socialisti e Popolari non avranno la maggioranza. Però l’apporto dei liberali basterà per superare la soglia necessaria dei 367 seggi. Il nuovo gruppo che si costituirà attorno alla vecchia Alde e alla delegazione di En Marche dovrebbe superare la tanto desiderata «Quota 100», il che garantirebbe alla coalizione tripartito una larga maggioranza (circa 430 seggi).
Numeri che finirebbero per mettere all’angolo i sovranisti, nonostante le nette vittorie in tre dei quattro principali Paesi Ue. Nigel Farage si appresta a guidare la delegazione nazionale più numerosa di tutto l’Europarlamento ed è un vero paradosso visto che il suo partito – il Brexit Party – abbandonerà l’Aula nel momento in cui il Regno Unito uscirà dall’Ue. Nel frattempo in quale gruppo siederà? Marine Le Pen, altra grande vincitrice, preannuncia un «supergruppo sovranista».
Però c’è subito un ostacolo: l’incompatibilità con Diritto e Giustizia. I conservatori polacchi – vincitori in patria – sono pronti a discutere con la Lega, ma ieri hanno ribadito il loro veto sul Rassemblement National. A dividerli c’è la linea politica nei confronti della Russia. E così l’obiettivo di un unico raggruppamento sembra impossibile. Le divisioni rischiano di portare Salvini&C. al quarto o forse addirittura al quinto posto: tutto dipenderà dalle scelte delle singole delegazioni nazionali, che dovranno decidere se andare con Le Pen o con i polacchi. Il fronte sovranista avanza in Spagna grazie al debutto di Vox, ma zoppica in Austria, perde colpi in Olanda (sparisce il Pvv di Geert Wilders, compensato solo in parte dal partito di Thierry Baudet) e non sfonda nel Nord Europa. Poi c’è Viktor Orban: i suoi 13 seggi per ora sono conteggiati nei popolari, ma non è detto che ci resti.
Manfred Weber vorrebbe tenerlo in squadra per consolidare il primato del suo gruppo. «Siamo i primi, la presidenza della Commissione spetta a noi», dice il bavarese, che punta alla poltrona di Juncker. Ma i risultati sono tutt’altro che positivi. Solo l’austriaco Sebastian Kurz guadagna terreno. Per il resto – dalla Germania alla Spagna, passando per Italia, Francia e Regno Unito – è una débacle. Fanno oltre 30 seggi in meno. «Non hanno più la forza per guidare la Commissione» attacca Udo Bullmann, capogruppo uscente dei socialisti-democratici. Anche loro perdono una trentina di seggi, ma ci sono alcuni segnali incoraggianti. Primi in Olanda, Svezia, Spagna, Portogallo e Malta. In Belgio (dove si votava anche per politiche e regionali) i socialisti volano nella regione di Bruxelles e in Vallonia (nelle Fiandre, però, cresce l’estrema destra: non sarà facile formare un governo).
Domani sera i 28 leader Ue si troveranno nella capitale Ue per decidere come spartirsi le cariche di vertice. I socialisti sono pronti a fare asse con i liberali per mettere il Ppe all’angolo. Il nome per l’esecutivo Ue potrebbe essere quello di Margrethe Vestager: ieri sera, a urne chiuse, l’attuale commissario alla Concorrenza è uscita per la prima volta allo scoperto: «Sì, cercherò una maggioranza in Parlamento per farmi eleggere presidente della Commissione».
Per Giuseppe Conte non sarà facile muoversi al tavolo delle trattative. La Lega resterà fuori dalla maggioranza, mentre la collocazione del M5S rimane un’incognita. Il progetto di creare un gruppo autonomo sembra naufragato ancora prima di cominciare. Mancano gli alleati. I polacchi di Kukiz ’15 non avranno nemmeno un eurodeputato, idem i finlandesi di Liike Nyt e i greci di Akkel. I croati di Zivi Zid conquistano un solo seggio. Troppo poco: per formare un gruppo servono almeno 25 eurodeputati provenienti da sette diversi Paesi.