All’inizio degli anni Sessanta, centinaia di uomini sono impegnati nella più grande operazione di «chirurgia geografica» del secondo dopoguerra: il traforo del Monte Bianco. Devono procedere spediti, e soprattutto dritti, altrimenti la galleria italiana e quella francese non s’incontreranno. Di certo quello di Sara Loffredi è il libro di uno scavo, ma è anche il racconto di una voce che riesce ad arrivare anche a chi all’inizio guardava dritto davanti a sé e non voleva fermarsi ad ascoltare: il protagonista, un uomo di città chiamato in valle per partecipare al progetto, di colpo viene precipitato in uno scenario che gli allarga la mente e il respiro. Mentre il fronte di scavo avanza, egli impara a conoscere la montagna, armonizzando pian piano il proprio ritmo con quello della Regina Bianca. La montagna è volubile e capricciosa, dorme per giorni, ma nella strana partita di conquista e seduzione che gioca con gli operai può trasformare il tunnel in un campo di battaglia.
L’impresa del Monte Bianco era visionaria per l’epoca, in quanto si trattava di scavare il tunnel stradale più lungo sotto la montagna più alta: al netto dei contenuti tecnici, c’era una parte simbolica molto forte. Gli operai sopportarono crolli, ritardi e imprevisti, procedendo palmo a palmo per 5800 metri, immersi nel fango ed esposti alle emorragie d’acqua che frantumavano la roccia. Ad incuriosire l’autrice, oltre alla grande opera di ingegno umano, era anche il punto di vista della montagna rispetto all’evento, che aveva interrotto un sonno millenario.
“Fronte di scavo” è la storia di una crescita personale di un uomo e del suo punto di vista sulla vita e sul mondo, compiuta grazie all’azione di uno scavo visionario e alla presenza della “Regina Bianca”. Con una scrittura limpidissima, Sara Loffredi ci guida nelle profondità della montagna e degli uomini, e ci mostra una pagina epica della nostra storia, scritta da un’Europa appena uscita dalla guerra ma capace di guardare con fiducia al futuro.