Il governo preannuncia un tavolo di confronto con le parti sociali per il Mezzogiorno. Intanto le stime dei centri studi indicano una situazione di frenata preoccupante: se questi ritmi perdureranno è difficile che possano bastare impegni generici. Il rapporto “Check-up Mezzogiorno” di Confindustria e Srm (gruppo Intesa Sanpaolo) parla di «motori al minimo» nella prima parte del 2019. L’occupazione è il segnale meno positivo, accompagnato dalla dinamica fiacca degli investimenti. Si ferma la crescita del numero di imprese.
Investimenti privati e occupati
Confindustria e Srm continuano il monitoraggio dell’economia meridionale basato su un Indice sintetico composto da cinque indicatori: Pil, investimenti fissi lordi, occupazione, export, imprese attive. Nel 2018 l’indice è cresciuto di 10 punti su 500, in pratica del 2%, quindi meno di un terzo dell’incremento messo a segno nell’anno precedente. A questo ritmo, solo tra altri tre anni si potranno recuperare i valori del 2007.
Sono in fase di stallo gli investimenti fissi lordi, che pure negli ultimi anni avevano dato segnali di vivacità. Rispetto al livello pre-crisi del 2007, siamo a -36,2%. Persino l’export, che a livello nazionale sembra beneficiare di una scossa, è in affanno. Il 2018 si era chiuso con un incremento del 5,5% ma per i primi tre mesi del 2019 Confindustria e Srm parlando di «un inatteso stop»: pesa la flessione delle esportazioni di coke e prodotti raffinati (-21%), solo parzialmente compensata dall’aumento relativo ai mezzi di trasporto (+4,5%), ai prodotti alimentari (+5,1%) e alla farmaceutica in ascesa del 18%. Positivo l’andamento dell’export turistico, quasi +15% gli arrivi e +8,8% la spesa dei turisti stranieri. La dinamica intermittente dell’export nel Mezzogiorno, secondo il rapporto, sta pesando anche come un vincolo oggettivo all’espansione delle imprese che già sono soffocate dai limiti del mercato del domestico. Significativi, da questo punto di vista, i divari interni in termini di potere d’acquisto, circa 800 euro pro capite in meno nelle regioni meridionali.
In questo contesto contrassegnato da un’economia ancora fortemente intorpidita, anche il mercato del lavoro non consente ottimismo. L’andamento degli occupati, dopo un trend positivo, vede prevalere elementi negativi. Il primo trimestre 2019 (-2,2%) è il terzo di fila con il segno meno. Gli occupati al Sud tornano sotto la soglia dei 6 milioni, con Molise, Puglia e Sardegna uniche eccezioni. I disoccupati sono circa 1,5 milioni, mentre il tasso di attività si ferma al 54% e quello di occupazione al 43,4%. Particolarmente alta la disoccupazione giovanile, con il tasso record del 51,9%.
Tutti gli indicatori citati contribuiscono complessivamente a una dinamica frenata del Pil che nel 2018, stando alle stime preliminari dell’Istat, fa registrare nel Mezzogiorno una crescita dello 0,4%, meno della metà della media nazionale. Si distingue l’industria, il cui valore aggiunto tra il 2016 e il 2017 è cresciuto del 7,4%, ma parliamo comunque di un macrosettore che pesa per appena il 10% sull’economia del territorio.
Investimenti pubblici
Altri indicatori, si osserva nel rapporto, delineano una frenata. Si è interrotto dopo molti trimestri l’aumento del numero di imprese, nei primi mesi del 2019 quelle attive sono meno di 1,7 milioni esattamente come un anno fa. All’interno di questo insieme, le imprese di capitali crescono ancora ma sono mini-aziende: solo 25 mila ha più di 9 dipendenti. Cala il livello totale degli impieghi, mentre aumentano i giorni di ritardo nei pagamenti tra imprese e riprendono a crescere sia i fallimenti sia le liquidazioni volontarie.
Più strutturale il deficit legato agli investimenti pubblici. La spesa pubblica in conto capitale pro capite del Centro-Nord torna ad essere, nel 2017, di quasi 500 euro più elevata di quella del Mezzogiorno dopo il sostanziale riavvicinamento degli anni precedenti. La forte riduzione colpisce indistintamente sia la spesa ordinaria dello Stato sia quella aggiuntiva, costituita cioè dai fondi straordinari (quelli Ue e il Fondo sviluppo e coesione).
La spesa ordinaria si riduce al Sud dagli 11,3 miliardi del 2009 ai 6,9 del 2017. Quella aggiuntiva, complice il lento avvio del nuovo ciclo di programmazione dei fondi strutturali, crolla dai 10,3 miliardi del 2009 ai 3,7 del 2017.