Da Milano fino a Wall Street. La riapertura dei mercati ieri, dopo il weekend che ha conclamato la diffusione del Covid-19 in Italia, è nel segno del panico. La Borsa di Milano è arrivata a perdere, durante le contrattazioni, il 6 per cento e ha chiuso in calo del 5,43 per cento, sono andati in fumo 30 miliardi di euro. Lo spread sale a quota 144, con un salto di 10 punti. «Un bagno di sangue dove si è inserita anche la speculazione », commenta Angelo Drusiani, della Banca Albertini. Per ritrovare crolli di questo tipo bisogna tornare alla fine del governo Berlusconi nel novembre del 2011, alle Torri Gemelle nel 2001 e al crac di Lehman nel 2008. Al centro del ribasso i settori più esposti alla crisi: dal lusso (Ferragamo ha perso l’8,9 per cento, Moncler il 5,36 per cento), alle manifatture (Fca -6,13 per cento), all’energia (Eni -4,67 per cento), alle telecomunicazioni (Telecom -3,97), a banche e assicurazioni.
A fare da detonatore all’espansione della crisi sul piano globale è stato il precipitare della situazione in Italia. Il rischio di una sostanziale paralisi dell’attività economica a partire dal Nord del Paese ha dato la certezza che il coronavirus non è più un caso solo cinese. Basti pensare che le quattro province di Pavia, Lodi, Cremona e Milano pesano il 12 per cento del Pil italiano e il 2 per cento dell’Eurozona.
Il Financial Times , che ieri dedicava la prima pagina alla Penisola con una malinconica foto del Carnevale veneziano, accredita l’ipotesi che i nuovi contagi in Italia, Iran e Sud Corea, abbiano fatto da miccia alla mondializzazione della crisi. Le Borse hanno fatto da termometro. Così ieri già dal sorgere del sole in Oriente, si è verificata la caduta dei listini di Seul (-3,01) e Hong Kong (-1,79). Il contagio finanziario ha trovato conferma a Milano, ha infettato le Borse europee dove le perdite hanno toccato anche quota 4 per cento: Londra -3,34, Francoforte -4,01 e Parigi -3,94. Poi, come una fionda, è arrivato a Wall Street, che a fine giornata ha perso il 3,55 per cento, peggior risultato dal febbraio del 2018. In tutto il mondo bruciati 1.000 iliardi.
La situazione dell’Italia è piuttosto critica. Eravamo già con un Pil vicino a quota zero prima dello scoppio dell’epidemia in Cina, poi il nostro stretto legame con l’economia di Pechino (abbiamo lì circa 2.000 aziende, importiamo ingenti semilavorati e prodotti finiti) ha fatto spostare le previsioni per quest’anno sotto quota zero, come hanno registrato Nomura e Oxford economics. Nel weekend il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha confermato per quest’anno una contrazione dello 0,2 per cento del Pil, senza considerare ancora l’escalation del virus in Italia. Con questa ulteriore variabile le cose potrebbero andare peggio: perché all’effetto import- export si sta aggiungendo la caduta della domanda interna (basti pensare che nel weekend i cinema hanno registrato una caduta del 44 per cento degli incassi). Non nega le criticità il premier Conte: «L’impatto può essere fortissimo».
Il punto, come ha spiegato al G20 di Riad la numero uno dell’Fmi Kristalina Georgieva e come sottolineano alcuni rapporti italiani, come quello del Ref, è il fattore tempo. Se l’epidemia si ferma prima dell’estate si può pensare a un effetto a “V”, si va giù ma poi si rimbalza e ci vuole poco a recuperare, ma se il virus non si ferma prevale lo scenario maledetto della “coronanomics”, un modello a “L” e allora le previsioni non azzardano oltre. Ci si limita, come ha fatto l’Fmi, a stimare una contrazione dello 0,1 per cento sull’economia globale lasciandosi le mani libere a «scenari più avversi».
Le materie prime si posizionano in modalità pre-crisi: il petrolio perde il 3,8%, il Brent tocca i 56,27 dollari. Su i prezzi dei beni rifugio: l’oro, ai massimi da 7 anni, tocca quota di 1.680 dollari l’oncia.