Le merci in container movimentate in quel Mediterraneo in cui passa un quinto del traffico marittimo mondiale sono aumentate del 500% negli ultimi vent’anni. Ma nei porti italiani quell’incremento è di dieci volte inferiore, +50%. Lo rileva un focus elaborato su dati Sispi e presentato a Cernobbio in occasione del quarto Forum internazionale di Conftrasporto. Il sistema portuale, visto come un unicum, emerge come fanalino di coda per colpa di «frammentazione e pesante burocrazia che frenano la crescita dei porti nazionali, molti dei quali hanno piani regolatori vecchi di 60 anni», A mancare è anche «un coordinamento, una cabina di regia a livello nazionale». Il porto di Trieste viene citato una sola volta, inserito tra gli 11 porti italiani rientranti nei Sin (siti di interesse nazionale, c’è anche Venezia) in cui le attività di bonifica sono state completate in quota variabile tra lo 0% e il 20%, al netto di Piombino, attestatosi al 45%.
Il report prende in esame dunque una situazione più generale, di sistema appunto, in cui si parla di un’Italia che rischia l’esclusione dalle grandi vie del traffico mondiale. La distribuzione dei terminal container, spiega Conftrasporto, interessa 13 porti su 57 e l’attuale capacità teorica di movimentazione dei terminal operativi è di 16,7 milioni di Teu, ovvero maggiore di circa il 60% della movimentazione effettiva registrata nel 2017, segno che le potenzialità sono decisamente più alte rispetto al risultato reale. Dietro tale dato si nascondono situazioni particolarmente differenziate, con terminal saturi in alcuni porti e poco utilizzati in altri. E così i risultati complessivi sono contraddittori.
Nel confronto 2005-2017 si è per esempio dimezzata la quota di traffico riconducibile ai porti di transhipment (trasbordo dei Teu da una nave ad un’altra per l’instradamento alla destinazione finale) di Gioia Tauro, Taranto e Cagliari, mentre il traffico di mezzi rotabili Ro-Ro ha superato i 4 milioni di unità, con una crescita del 255%, che ha portato la merce trasportata con questa modalità sostanzialmente a raggiungere quella che si muove con i container. Rispetto al 2005, il totale delle merci movimentate nei porti italiani è però cresciuto nel 2017 solo di 2 punti percentuali, toccando, superati gli effetti della crisi del 2008, i circa 500 milioni di tonnellate. È salito invece in misura più significativa il numero dei passeggeri, che nel 2017 hanno superato quota 52 milioni contro i 45,6 milioni del 2005, con un incremento di circa il 61% solo sul fronte crocieristico, del 5% su corto raggio e del 9% su medio raggio.
Le zavorre? Lo studio segnala che soltanto 10 scali sono dotati di uno strumento di pianificazione a lungo termine regolarmente approvato, e che i piani regolatori in vigore hanno una vita media di 55 anni, con punte che superano i 65. C’è poi la questione delle risorse per i piani operativi triennali. Per fare un esempio, a fronte di una programmazione triennale di circa 6,3 miliardi di euro, la copertura finanziaria risulta mediamente di poco superiore a un terzo della spesa prevista. Mancando poi ogni forma di coordinamento centrale nella programmazione delle opere, il risultato è una situazione disomogenea, con regole che cambiano da scalo a scalo e un quadro di sistema disarticolato. Continua il fenomeno del “gigantismo navale”, con oltre 464 unità di classe compresa tra 10 e 20mila Teu e altre 118 che entreranno in circuito entro il 2020 (per accoglierle sarà necessario un escavo di 85 milioni di metri cubi di materiale nei canali), Confturismo chiude con le proposte. Innanzitutto coordinare il settore a livello nazionale e regolamentare le concessioni.