«I parlamentari di Forza Italia che vogliono passare nella Lega sono molti di più di una decina». Sono settimane che parte della memoria del telefonino di Giancarlo Giorgetti è destinata ai messaggini dei tanti berlusconiani che gli chiedono un passe-partout per la maggioranza. Peones idealmente con la valigia in mano, che ad abbandonare Forza Italia per convertirsi alla causa di Matteo Salvini ci metterebbero meno di un minuto. Eppure c’è un motivo se, alle confidenze del sottosegretario a Palazzo Chigi, non è seguita tra gli azzurri quella «caccia al traditore» che in altri tempi sarebbe scattata all’instante. Anzi, due. Il primo è che «la Lega — come il suo leader ha ribadito a Berlusconi anche durante l’ultimo incontro ad Arcore — non ha alcuna intenzione né alcun interesse a prendere in casa parlamentari non nostri». Il secondo è che la mastodontica transumanza da Forza Italia alla Lega è un «piano nazionale» che va realizzato lentamente, pezzo dopo pezzo, senza dare nell’occhio, seguendo regole e schemi che a via Bellerio hanno già messo a punto.
Tanto per cominciare, salvo rare eccezioni, non sarà accolto nel Carroccio nessun consigliere regionale forzista lombardo, veneto o ligure. Il Nord, e soprattutto le regioni in cui Salvini e Berlusconi governano insieme, è retto da una specie di «equilibrio di Yalta» e romperlo sarebbe più complicato che utile. «Nessuno di noi vuole colpire il Cavaliere», ripete Giorgetti a ogni pie’ sospinto. E sottrargli persone nel vecchio cuore pulsante del berlusconismo sarebbe un affronto troppo grande.
La «transumanza» va organizzata altrove, perché altrove è più utile all’obiettivo. E lo scopo sono le Europee dell’anno prossimo, quelle in cui il consenso nazionale della Lega — sorpasso sul M5S compreso — può uscire dai sondaggi per approdare nella realtà. Sono elezioni con le preferenze, quindi servono politici coi voti. Come Raffaele Fitto, poi uscito da Forza Italia, parlamentare europeo che punta a una riconferma. Tra i salviniani c’è chi lo candiderebbe immediatamente, anche se la disponibilità dell’ex ministro e governatore sarebbe tutta da verificare. Più agevole, invece, il territorio campano. Dove l’eterna guerra civile forzista sul territorio potrebbe portare presto tra le braccia di Salvini il potente consigliere regionale Gianpiero Zinzi, figlio di Domenico, già presidente della provincia di Caserta.
In Abruzzo, dove per le Regionali si vota entro la fine dell’anno, il fuggi fuggi solo andata da Forza Italia alla Lega, nei Comuni, è praticamente quotidiano. Ed è culminato nel passaggio ai salviniani del potente mister preferenze della Marsica Antonio Morgante. Un’operazione di rafforzamento che consentirebbe ai leghisti di imporre la nomination a governatore di Fabrizio Di Stefano, un ex deputato berlusconiano in rotta con Forza Italia. Se l’operazione andasse in porto, e lo si capirà presto, Di Stefano potrebbe diventare a stretto giro il primo «leghista» (anche se con le virgolette) a guidare una regione del centro-sud.
Perché la più clamorosa delle migrazioni da un partito all’altro all’interno di una coalizione sta avvenendo così, quasi in silenzio, con nomi poco noti a livello nazionale. A fari spenti, com’è stato il sorpasso del 4 marzo. E se mai qualcuno cercasse l’inizio di questa storia, allora bisognerebbe intercettare le brevi dei quotidiani locali calabresi del 28 febbraio scorso. Quando mancavano pochi giorni al voto, Enzo Cusato e Giusi Zungri — due consiglieri comunali forzisti di Rosarno, che poi sarebbe diventata il luogo di elezione di Salvini al Senato — annunciarono a sorpresa il passaggio al Carroccio. Come quel personaggio del Capitale umano di Virzì: scommettendo su un fallimento, quello di Forza Italia, avrebbero vinto. Contro ogni pronostico.