Un osservatorio Istat sulla gig economy. Uno spaccato statistico sull’economia dei lavoretti. Giorgio Alleva, presidente Istat, riconosce al festival Città Impresa la necessità di uno sforzo aggiuntivo da parte dell’istituto per tracciare il fenomeno delle piattaforme Internet. Da Foodora a Uber, da Deliveroo ad Airbnb. Dalla mobilità del noleggio con conducente alle applicazioni di cibo a domicilio fino alle locazioni temporanee di immobili. «Circa 550 mila persone lavorano ad ore, per una media di dieci a settimana. Stiamo parlando del 2,5% degli occupati d’Italia», spiega Alleva. Che registra l’importanza di rappresentare in maniera più approfondita i cambiamenti sociali e come essi si traducano nella composizione della domanda (e dell’offerta) di lavoro.
La stretta attualità d’altronde racconta di come anche la giurisprudenza si stia interrogando su queste nuove forme ibride di lavoro basate sui servizi. Il tribunale di Torino ha dato torto mercoledì ai fattorini di Foodora che chiedevano il riconoscimento della natura di lavoro dipendente. «Sono autonomi», ha sentenziato il Tribunale, una decisione destinata a fare letteratura. L’Istat però deve «osservare» e «registrare» il lavoro nel suo complesso anche per dare al legislatore gli strumenti adeguati in caso volesse esprimersi sul tema. «Ci stiamo già coordinando con l’Inps, l’Inail e il ministero del Lavoro per far comunicare i database tra loro», dice Alleva che rileva un trend sorprendente, probabilmente accentuata dalla tecnologia. «Sta crescendo l’occupazione dei mestieri a bassa qualificazione professionale. Una tendenza che riscontriamo da un po’», ammette Alleva.
La tesi sembra prendere in contropiede chi suggerisce la necessità di far salire di gamma le competenze collettive, in virtù della trasformazione digitale delle imprese agevolata anche dagli incentivi del piano Industria 4.0. In realtà sembra più plausibile che le nuove tecnologie stiano polarizzando il lavoro. Se gli operai stanno progressivamente slittando verso la figura di «tutor» e supporto delle macchine, consulenti informatici specializzati alla catena di montaggio, la gig economy sta amplificando l’economia dell’ultimo miglio anche grazie al boom del commercio elettronico.Fattorini, autisti dei corrieri espresso, mulettisti nei centri distributivi per i pacchi ordinati dagli utenti su Internet. Attività non a elevata qualificazione, eppure necessari in tutta la filiera della logistica dove ha investito, in termini di intermediazione, anche il mondo delle cooperative in qualche caso alimentando un sottobosco di illegalità. Alleva vuole censirlo. Al pari dello smart working, anche questo sarà presto oggetto di un monitoraggio. Siamo entrati nell’era del lavoro alla «spina». La statistica se n’è accorta.
*Corriere della Sera, 15 aprile 2018