In caso di taglio del debito coinvolti tutti i titoli e il credito precauzionale sarà concesso solo ai Paesi in linea con le norme sui conti pubblici.
Effetti collaterali della ” manovra del popolo”, condannata da tutti i governi Ue perché capace di mettere a rischio la moneta unica: l’Italia guidata dai gialloverdi perde peso e credibilità ed è costretta a giocare in difesa sulla riforma dell’eurozona, subendo una serie di decisioni che si faranno sentire, negativamente, nei prossimi anni. E’ stata la classica maratona europea quella dei ministri delle Finanze della moneta comune, un negoziato durato 18 ore che li ha tenuti inchiodati al tavolo dell’Europa Building, il palazzo del Consiglio Ue di Bruxelles, fino all’alba di ieri. Alla fine è arrivato un compromesso che sarà sul tavolo dei leader al summit del 13 e 14 dicembre, ma per Giuseppe Conte l’isolamento si farà sentire come nelle scorse ore è stato per Giovanni Tria.
Innanzitutto l’Eurogruppo ha deciso rendere più facile l’eventuale ristrutturazione dei debiti sovrani con l’introduzione della clausola ” single limb” all’interno dello statuto del Fondo salva Stati Ue ( Esm): in pratica nel caso di taglio del debito ci sarà il coinvolgimento obbligatorio di tutti i titoli. Mossa meno dirompente della ristrutturazione automatica chiesta dai nordici, ma comunque in grado di rendere più rischiosi i bond italiani, con gli investitori che si ritroveranno comunque a rischio perdite in caso di haircut con la potenziale conseguenza di far salire gli interessi (e lo spread) per vendere i nostri titoli. Tra l’altro per evitare lo scenario default, in caso di difficoltà temporanee a finanziarsi sui mercati i governi potranno accedere alle linee di credito precauzionali dell’Esm solo se i loro conti pubblici rispetteranno le regole europee. E anche in questo caso la postilla è stata studiata per l’Italia, che negli ultimi sei mesi ha dissipato quel capitale di fiducia tra i partner che si era faticosamente guadagnata dal 2012 in avanti.
Se si è registrato un nulla di fatto sul sistema di comune garanzia dei depositi e sullo schema di assicurazione Ue contro la disoccupazione, caro all’Italia, mancano i dettagli sul lancio di un bilancio dell’eurozona dal 2021. Sarà usato per ammodernare le economie dei paesi di Eurolandia, ma non avrà funzione di stabilizzazione macroeconomica in caso di shock, punto centrale per Roma, con il risultato che in caso di crisi economica il bilancio comune non finanzierà gli ammortizzatori sociali dei paesi più colpiti. Uno stop decretato dall’opposizione olandese, che l’Italia odierna non è stata in grado di superare.
Intanto nella notte tra lunedì e martedì Francia e Germania ( Le Maire e Scholz) hanno trovato un nuovo compromesso sulla Web tax che ridimensiona il progetto iniziale proposto da Bruxelles di una tassa del 3% sul giro d’affari dei grandi della Rete. La nuova proposta franco- tedesca ( scritta senza l’Italia, fino allo scorso marzo nella cabina di regia su questo dossier) e prevede invece di restringere l’area della tassazione, sempre al 3%, al volume d’affari relativo alla sola pubblicità, settore in cui colossi come Google e Facebook realizzano i loro maggiori guadagni ma che lascerà impuniti altri giganti di Internet ( ad esempio, non verrà tassata la vendita di dati). Parigi e Berlino suggeriscono che venga approvata entro marzo 2019 con entrata in vigore dal primo gennaio del 2021 e solo se per quella data non saranno stati raggiunti diversi accordi internazionali sulla materia. In ogni caso, la Web tax europea scadrebbe nel 2025. Questa modulazione temporale è tesa convincere i paesi europei più ostili alla tassa perché – come Irlanda e Lussemburgo – protagonisti di accordi che fanno risparmiare sul fisco le multinazionali in Europa ma che riempiono le loro casse governative.