Un po’ meno valvole, mobili e tessile. Più lusso, design e gioielli. Gettare uno sguardo lungo sulla struttura distrettuale italiana, scandagliata sistematicamente dall’ufficio studi di Intesa Sanpaolo, consente di apprezzare l’evoluzione del sistema, che attraversa in effetti dal periodo pre-crisi ad oggi una lenta ma percepibile mutazione. Certo, allora, come adesso, guardando alla fotografia statica della top 20 per volumi esportati si incontra in media tanta Lombardia e molta meccanica. Distretti, tuttavia, che salvo qualche eccezione mantengono un passo di crescita inferiore alla media (+20% dal 2008 al 2017 per il totale delle 153 zone monitorate) mentre altre aree sono riuscite ad avere dinamiche decisamente superiori. Nella classifica per crescita dei volumi (17 miliardi in più su scala globale dal 2008 al 2017), tra i 20 distretti più dinamici troviamo in effetti un mondo diverso e più articolato, con una prevalenza geografica di Veneto e Toscana.
Il boom di Valdobbiadene
Dal punto di vista settoriale è invece evidente una tendenza alla diversificazione, dove alla meccanica si affiancano altre specializzazioni. Come quelle alimentari, i cui sforzi nell’approccio ai mercati esteri è ad esempio evidente nei risultati dei vini delle langhe, o ancora dei dolci di Alba e Cuneo. Il risultato più robusto è però per il distretto del Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, con volumi esteri quasi triplicati dal 2008, fino a sfiorare i 700 milioni di euro. «Un successo legato alle nostre politiche di promozione – spiega il presidente del Consorzio Innocente Nardi – e alla capacità di portare buyer sul territorio. Dei 181 associati gli esportatori sono 151: si tratta di aziende aperte al mondo».
Altrove, invece, i tassi di crescita sono sostenuti anche da nuovi investimenti. In arrivo da gruppi italiani, così come dall’estero, come accade ad esempio a Firenze, Belluno e Valenza. «Rispetto al passato – spiega il responsabile Industry dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo Fabrizio Guelpa – si tratta certamente di una novità. Positiva, tenendo conto che i gruppi esteri vengono qui perché il tessuto artigianale è attrattivo e le stesse Pmi locali possono in questo modo allargare i propri sbocchi esteri. È però un peccato non riuscire a fare lo stesso lavoro con “campioni” nazionali: avere l’headquarter altrove è comunque un vincolo».
La nuova star dei distretti è nel capoluogo toscano, nella filiera della pelle e delle calzature di fascia alta di gamma, in grado di conquistare la vetta tra tutte le aree di specializzazione produttiva in Italia: 3,8 miliardi di export, di cui quasi due aggiunti dal 2008. Attraverso fabbriche proprie o terzisti questo ormai è il luogo privilegiato dei grandi marchi del lusso, presenti al gran completo. Tornata di investimenti che ha subito una accelerazione recente: Prada ha completato uno stabilimento a Scandicci, Gucci ha puntato 100 milioni per un centro di sviluppo che già occupa 800 persone (150 neo-assunti da gennaio), Céline (Lvmh) sta costruendo una fabbrica di borse a Radda in Chianti, Fendi farà altrettanto nell’ex fornace Brunelleschi. «Per la pelle questa è diventata la capitale mondiale – spiega il presidente della sezione pelletteria di Confindustria Firenze David Rulli – ed è accaduto grazie alla capacità dei nostri imprenditori, vincenti per qualità e servizio. Ora i brand puntano ad internalizzare attività e rilevare terzisti e questo per il tessuto di Pmi è un rischio, da contrastare con alleanze e strutture più robuste. Ad ogni modo questo è un territorio in crescita, così come in progresso è l’occupazione, io stesso sto cercando una decina di persone. Il problema, come per tanti, è trovarle».
Belluno caput mundi
Altro balzo notevole è per l’occhialeria di Belluno, anche in questo caso grazie ad un mix virtuoso tra Pmi, grandi brand e investimenti internazionali che spinge l’export a 2,8 miliardi: un quasi-raddoppio rispetto al 2008.
Distretto vivo e vitale, anche in questo caso polo di attrazione su scala globale. Gli statunitensi di Marchon hanno rilanciato ad esempio l’impianto di Puos D’Alpago ma l’iniziativa più pesante è certamente Thélios, joint venture tra Lvmh e Marcolin, accordo del 2017 già tradotto nella nascita di un nuovo sito produttivo hi-tech. Già 270 gli addetti, in grandissima parte neo-assunti e giovanissimi, con altri 30 ingressi previsti entro fine anno. «È una manifattura che si richiama alle origini artigianali – spiega l’ad Giovanni Zoppas – ma che si alimenta e rafforza con le nuove tecnologie. Questo mix è il punto di forza di un’area che continua a crescere e ad attrarre nuovi investimenti». Progressi anche per le Pmi, come Pramaor, al nuovo record di ricavi (+30% a 10,1 milioni), con un prodotto nella fascia alta di gamma, in grado di puntare su un marchio proprio dopo decenni di “terzismo”. Scelta che paga. «Puntiamo a raddoppiare i ricavi nei prossimi quattro anni – spiega l’ad Nicola Del Din – e ci stiamo preparando investendo 4,5 milioni per triplicare i nostri spazi».
L’oro che luccica
Tra i distretti a maggior tasso di crescita, con valori quadruplicati a 2,1 miliardi, vi è anche l’oreficeria di Valenza, rilanciata come accaduto per Belluno e Firenze, anche da robusti investimenti in arrivo dall’estero. Determinante è stata lo scorso anno l’apertura del nuovo hub produttivo di Bulgari, il maggiore in Europa con 14mila metri quadri. «Le 380 persone che lavoravano qui – spiega il direttore delle operations Nicolò Rapone – ora sono già 630, a fine anno quasi 700. In termini di volumi abbiamo più che raddoppiato l’output e questo si traduce in lavoro aggiuntivo anche per l’indotto, almeno una cinquantina di aziende qui sul territorio».
Il sud
All’interno di questo quadro di crescita il Mezzogiorno è ancora una volta il grande assente. Con una importante eccezione, tuttavia, per la meccatronica di Bari. Che grazie alla presenza di multinazionali e Pmi innovative riesce a scalare numerose posizioni in classifica. Le produzioni dell’area sono evidentemente competitive, tanto da portare il distretto all’11esimo posto per crescita assoluta (+423 milioni di export), un progresso del 52,6% che fa guadagnare all’area ben undici posizioni. In un’area presidiata anche da multinazionali di peso globale, come Bosch o Magna-Getrag, che proprio pochi giorni fa ha inaugurato un ampliamento produttivo da oltre 100 milioni di euro. Da un organico di 700 addetti di sei anni fa oggi si è passati a 830, che diventano più di mille tenendo conto dell’indotto diretto. «Ampliamento – spiega il direttore delle risorse umane Vincenzo Lioce – realizzato in soli 18 mesi partendo da zero. Dimostrando che quando c’è la volontà e la collaborazione delle istituzioni anche i progetti più importanti si possono realizzare». Il business locale in allargamento (Magneti Marelli ha appena conquistato una maxi-commessa per produrre motori elettrici per Harley Davidson, aggiungendo altri addetti e arrivando a 1100 unità) porta lavoro anche all’indotto .
Come testimonia Tera, pmi attiva nelle applicazioni Iot, impegnata in un progetto di digitalizzazione dell’impiantistica locale di Bosch. «La nostra flessibilità – spiega il fondatore Antonio Sacchetti – ci consente di essere competitivi dove i grandi gruppi non riescono ad arrivare. Ecco perché credo che grazie alle nuove tecnologie si aprano spazi interessanti anche per le Pmi. Ora in Bosch partiamo con una sperimentazione da circa 60mila euro per un macchinario. Tenga conto però che di impianti loro qui ne hanno più di 50».