La contromemoria di Fincantieri alle obiezioni dell’Antitrust Ue sul tentativo di acquisizione degli Chantiers de l’Atlantique (l’ex Stx France) arriverà sul tavolo della commissaria Margrethe Vestager entro giovedì della prossima settimana, in linea con la richiesta, fatta filtrare da Bruxelles, di non allungare ulteriormente i tempi di un dossier che, non certo per volontà del gruppo, si trascina ormai da gennaio 2017. Da quando cioè l’offerta dell’azienda guidata da Giuseppe Bono fu ritenuta congrua dal tribunale di Seul, chiamato a gestire la procedura fallimentare di Stx Offshore & Shipbuilding, il colosso coreano che aveva in pancia gli storici cantieri bretoni.
Fincantieri invierà dunque a breve la sua risposta ribadendo la netta contrarietà alle argomentazioni considerate pretestuose con cui la Commissione Ue ha giustificato l’avvio di un’indagine più approfondita e producendo nuova documentazione a sostegno della necessità di perseguire, anche nella cantieristica, la creazione di un «campione europeo». Uno scenario, quest’ultimo, su cui la Vestager ha sollevato ieri l’altro ulteriori perplessità con una intervista concessa ad alcuni giornali, tra cui le Figaro, dalla quale emerge, è il ragionamento che circola tra Roma e Parigi, un’anacronistica visione delle ragioni del dinamismo dell’economia europea e una miope valutazione degli interessi dei consumatori.
Insomma, il documento che Fincantieri invierà a Bruxelles servirà innanzitutto a dimostrare che la prospettiva adottata dall’Antitrust Ue, nel ritenere «che l’operazione possa ridurre la concorrenza sul mercato mondiale della costruzione delle navi da crociera», finisce col tututelare non tanto il passeggero europeo, per il quale il prezzo finale della crociera incorpora solo in minima parte (in una percentuale inferiore al 10% fatto cento l’esborso complessivo) il costo della nave, quanto piuttosto i grandi operatori del mercato crocieristico. Un mercato, è utile ricordare, che è estremamente concentrato sul lato dell’offerta: i primi quattro operatori, Carnival, Royal Caribbean, Norwegian Cruise Line e Msc detengono una fetta superiore all’85% e hanno margini di profitto molto più elevati dei costruttori di navi. Con un chiaro squilibrio in termini di potere negoziale che, ribadirà Fincantieri nella sua contromemoria, si andrebbe invece a correggere con l’integrazione.
Il motivo è presto detto: nelle simulazioni preparate insieme al management degli Chantiers e già inviate dal gruppo di Bono in questi mesi a Bruxelles, si dimostra chiaramente che i costruttori di navi hanno costi fissi imcompribili per i cantieri – e insostenibili in caso di fermo delle attività -, ma avrebbero numerosi vantaggi dalle “nozze” in termini di sinergie e risparmi. Ottimizzando cioè la capacità produttiva di Fincantieri e dell’ex Stx France che possono contare, rispettivamente, su una rete di cantieri in Europa (distribuita tra Italia, Romania e Norvegia) e su un impianto specializzato nelle super navi a Saint-Nazaire, si aumenterebbero gli slot a disposizione degli armatori, ma si potrebbe altresì efficientare la base dei costi (a cominciare da quelli fissi) con positivi riverberi sui prezzi finali applicati ai clienti, come pure garantire maggiori volumi all’indotto delle pmi del comparto(80mila le risorse stimate per Fincantieri, oltre 11mila per gli Chantiers). Senza contare che in un settore caratterizzato da margini non elevati e attraversato, dal 2008 in poi, da una crisi pesantissima che ha già spazzato via oltre 50mila posti di lavoro, l’Europa può sottrarsi dal rischio di essere fagocitata solo se compete ad armi pari contro i giganti della concorrenza. Che, al di fuori dei confini del Vecchio Continente, danno vita a maxi operazioni di fusione come quella tra i due principali gruppi cantieristici cinesi China Shipbuilding Industry Corporation (Csic) e China State Shipbuilding Corporation (Cssc) per arrivare a un big dal fatturato complessivo di circa 70 miliardi di euro o come il matrimonio tra le attività cantieristiche della sudcoreana Daewoo e Hyundai Heavy Industries che darà vita a un colosso da 18 miliardi di euro.
Numeri che, se confrontati con quelli di Fincantieri e degli Chantiers (messi insieme avrebbero ricavi complessivi per 7 miliardi e oltre 22mila addetti diretti), suggeriscono ancor di più l’urgenza di un cambio di passo della Ue e delle sue regole in materia di concorrenza anche in vista di nuove partite, altrettanto cruciali per il destino dell’industria europea, come quella tra Fca e Peugeot. Ecco perché Fincantieri sembrerebbe decisa a far valere le sue ragioni e non avrebbe finora proposto alcun correttivo, né parrebbe per ora disposta ad accettare soluzioni come quelle ventilate nella fusione, poi stoppata, tra Siemens e Alstom, di cessione di asset o know how che finirebbero per snaturare il senso dell’operazione. Considerata strategica anche dai francesi consapevoli della necessità di assicurare un futuro stabile a Saint-Nazaire con un solido socio industriale. Vero è che, da qui a fine febbraio, quando dè atteso il verdetto finale di Bruxelles (ma un orientamento di massima potrebbe essere reso noto entro Natale), le carte in tavola potrebbero cambiare con la richiesta della Commissione, finora comunque non avanzata, di possibili rimedi. Ma una cosa è certa già da ora: una soluzione di compromesso sarà ritenuta irricevibile.