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Angeli o demoni? Quando si chiede a Federico Faggin che cosa non abbiamo capito della rivoluzione in atto, accelerata da reti digitali e universi virtuali, reti neurali di Intelligenza Artificiale e robot multitasking, lui risponde senza esitazioni: «L’errore, o l’equivoco, è il tentativo di convincerci che le macchine ci supereranno e che, forse già entro 30 anni, diventeranno addirittura coscienti».
L’errore – specifica – dev’essere rettificato, come se si trattasse di un algoritmo che, infettato dal pregiudizio dell’ideatore, genera nefasti effetti a catena. «Che ci sia una mini-rivoluzione in atto non ci sono dubbi, ma l’idea che l’IA possa acquisire consapevolezza, e quindi minacciarci, non è realizzabile». Lo scenario «Terminator» resta relegato alla fantascienza.
Faggin conosce bene ciò di cui parla. Descritto come lo Steve Jobs italiano, inventore, tra l’altro, del microprocessore e del touchscreen, imprenditore di successo, adesso – per gioiosa ammissione – è entrato nella sua quarta vita. Dopo le macchine, che ha contribuito a creare e a produrre a Silicon Valley, si dedica all’indagine su una caratteristica intimamente umana, che si può definire in tanti modi, come coscienza o consapevolezza, ma che di sicuro è quel labirintico Sé che – promette – non sarà mai la proprietà di un computer in stile Hal 9000 (il celebre cattivo di «2001 Odissea nello Spazio»).
A Trieste Next, il festival della ricerca scientifica, venerdì 27 settembre, ha provato a mettere ordine tra paure ingiustificate e aspettative sproporzionate. «Il computer non è un organismo vivente: c’è una differenza abissale rispetto a noi. La vita obbedisce a regole quantistiche, i calcolatori rispondono alla fisica classica e – aggiunge – noi siamo molto più che operazioni matematiche, per quanto veloci. Siamo capaci di creatività ed empatia, di emozioni e sentimenti». E anche se non è lontano il debutto dei computer di prossima generazione – quantistici, appunto – «la loro natura non cambia: i qubit sono comunque informazione astratta, che risponde alle logiche teorizzate dal famoso ingegnere del Mit Claude Shannon».
Ricombinando così le tessere del puzzle, non è difficile per Faggin domare altre ansie, per esempio quelle legate al terremoto nell’universo del lavoro. «Molti lavori, i robot, li hanno inventati. E non è vero che abbiano sostituito gli umani. Certo, l’impatto non è indifferente, ma ci saranno d’aiuto nell’affiancarci negli aspetti elementari e banali, quelli a cui, a volte, diamo un’importanza esagerata. La nostra supervisione ci vorrà comunque, altrimenti – ammonisce – i danni saranno enormi».
E’ a questo punto che l’ottimismo si incrina. Se spaventare non significa risolvere, spesso – dice – dimentichiamo la regola che «nessun pasto è gratis». «Usiamo mail e whatsapp e non ci preoccupiamo del fatto che non paghiamo nulla. Com’è possibile? In realtà, dietro le quinte, ci sono forme subdole di controllo e raccolta dati. E’ così che diventiamo oggetti permanenti di monetizzazione». L’abnorme crescita del Big Tech – i giganti del digitale – è frutto della pervasiva manipolazione globale, verso la quale i governi – osserva Faggin – prestano un’attenzione perlomeno distratta.
Molti degli ideali democratici della Silicon Valley delle origini, venati di spirito hippie, si sono dissolti, travolti da una ricchezza senza precedenti e da un potere che si promuove come illimitato. E infatti i Signori del Silicio sognano ulteriori sfide, compresa quella epocale del transumanesimo, progettando esistenze quasi illimitate e il trasferimento delle memorie biologiche sui supporti digitali. «Il punto è che molte di queste idee non si basano su solida scienza. Sono chimere, con cui si alimenta una falsa mitologia».
Il principio di realtà, semmai, imporrebbe attenzione verso altri aspetti. La sfida hi-tech tra Usa e Cina, per esempio, dal momento che «il 45% degli studenti cinesi abbraccia le materie “Stem”, a base di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, contro lo scarso 5% degli americani». O «il rischio di un utilizzo incontrollato dell’IA per condizionare gli individui e annullare la privacy», polverizzando le classiche predizioni orwelliane. E’ una cecità non dissimile – osserva – da quella nei confronti dei cambiamenti climatici: «Ecco un’altra bomba a orologeria che molti non vogliono riconoscere».
Una causa – spiega Faggin, come ha ripetuto alla platea di Trieste Next, presentando l’autobiografia «Silicio», edita da Mondadori – è il trionfo della «visione materialista e riduzionista dell’Universo». A questo schema consolidato il padre dei microprocessori oppone una visione olistica, che considera la coscienza come una proprietà irriducibile della natura, in grado di descriverne la tendenza verso una complessità crescente. «E’ il motivo per cui ho ideato una fondazione: il cervello umano non è un computer e tantomeno la coscienza è il suo software».
Una delle iniziative è stata la donazione di 500 mila dollari per una cattedra di «Fisica dell’informazione» alla University of California at Santa Cruz: lì, incrociando fisica e biofisica, matematica e sistemi complessi, si esplora ciò che il silicio non riesce a replicare.
*TuttoScienze de La Stampa, 25 settembre 2019