Fabrizio Palermo, 48 anni, amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, non ha fama di avere un carattere malleabile ma nessuno può dire che cerchi di parlare in modo ambiguo o di non assumersi la responsabilità delle proprie decisioni. Di recente il consiglio di Cdp, dove il Tesoro ha una maggioranza sostenuta da una quota dell’82%, ne ha presa una che dà la misura dell’emergenza apertasi nel governo per il rischio di una procedura sull’Italia a Bruxelles per la finanza pubblica: il varo di un extra dividendo da 800 milioni di euro a favore del Tesoro, dopo quello da 1,3 miliardi deliberato in assemblea il mese scorso. Così la Cassa ha impegnato tutto l’utile dell’anno scorso per cercare di limare il deficit pubblico.
Dottor Palermo, questa scelta ha sollevato delle critiche e in parte anche dalle fondazioni azioniste. L’avete subita dal socio pubblico di controllo?
«Si è posto un tema di priorità. Data la delicatezza della situazione siamo chiamati tutti a un senso di responsabilità verso il Paese. Ma devo anche dire che non è la prima volta per noi che tutto l’utile di un esercizio viene utilizzato in questo modo».
Quando avete saputo che dal Tesoro vi sarebbe arrivata questa richiesta di un ulteriore contributo?
«In questi giorni, il che dato il contesto è normale. In precedenza eravamo fermi al dividendo ordinario deliberato in assemblea a maggio. Abbiamo risposto con convinzione perché, come dico, questo è un momento che richiede massima responsabilità da parte di tutti. Ma devo precisare che il piano industriale di Cassa va avanti, non è minimamente alterato dal dividendo extra al Tesoro. Fra questo e il piano industriale non c’è alcun rapporto».
Il parlamento ha approvato una mozione dei miniBot, titoli di Stato di piccolissimo taglio, con l’obiettivo dichiarato di saldare con quelli i debiti commerciali degli enti. Ma la legge di bilancio dà a Cdp il compito di fornire prestiti in euro a condizioni molto favorevoli alle amministrazioni in ritardo di pagamento. Non ci siete già voi?
«La situazione è variegata, in Italia ci sono situazioni più o meno virtuose che derivano da molti anni di gestioni diverse. Noi possiamo fornire anticipazioni di cassa agli enti sulle quali le aziende vantano crediti abbiano certificati e certi e che abbiano spazio di bilancio per assumere nuovo debito finanziario. La misura è servita. Quest’anno abbiamo già mobilitato poco meno di due miliardi di euro a questo scopo».
E chi ha crediti verso gli altri enti?
«Alcune amministrazioni sono già al limite della quantità di debito finanziario che possono assumere, perché l’esposizione è eccessiva. In questi casi spesso la capacità di recupero è ridotta e con loro strumenti come l’anticipo di liquidità sono molto meno facili da impiegare. In questi casi i problemi a monte sono nella capacità degli enti di riscuotere le imposte locali, per esempio. I ritardi di pagamento delle imprese fornitrici diventano l’altro lato della medaglia di questi problemi di funzionamento amministrativo».
A dicembre sembrava che Cdp dovesse essere decisiva per quei 18 miliardi di privatizzazioni promessi dal governo quest’anno. Ma tutto è fermo, nessuno spostamento di quote di imprese pubbliche da Tesoro a voi. Si teme la Commissione Ue tramite Eurostat dichiari l’operazione solo contabile o addossi Cdp al perimetro del bilancio pubblico, facendo salire il debito pubblico?
«Non ci sarebbero ostacoli di trattamento contabile. Se noi compriamo delle partecipazioni, ci dev’essere una ragione industriale e questo si deve riflettere nella governance. Così è stato per esempio per Terna, Snam o Italgas. Ma ad oggi non è chiaro se il governo voglia intraprendere questa iniziativa anche per altre sue partecipazioni dirette. Per cui il tema rimane aperto. Ma senza preclusioni legate a questioni di contabilità, alle condizioni che ho detto».