«No, noi non siamo una Onlus e il nostro obiettivo rimane la massimizzazione dei profitti. Poi, certo, l’inusuale natura del nostro azionariato ci impone, da un lato, di avere una particolare attenzione verso i nostri collaboratori e, dall’altro, di destinare gli utili alle opere di bene. Però ripeto: prima di tutto bisogna farli, gli utili».
Diventata negli anni Ottanta il simbolo degli automatismi grazie a un fortunatissimo spot televisivo in cui si vedeva un leone messo a fare la guardia a un cancello in mezzo al deserto mentre sfreccia una Ferrari, la Faac di Zola Predosa, dopo la prematura scomparsa nel 2012 del suo proprietario Michelangelo Manini, è dal 2015 completamente nelle mani dell’Arcidiocesi di Bologna, la quale oltre ad aver ricevuto in regalo il 66% delle azioni dall’imprenditore single e senza eredi, ha acquistato in quell’anno il 34% mancante dai francesi di Somfy .
Il che, tuttavia, non le ha impedito di inanellare una serie di risultati positivi — dal 2011 il giro d’affari si è più che raddoppiato per un Cagr del 12,5% — che l’hanno portata a chiudere il 2018 con 421 milioni di fatturato e un ebitda di 80 milioni, pari al 19%.
Spiega Andrea Moschetti, avvocato, componente del trustee insieme a Bruno Gattai e Giuseppe Berti a cui la Curia ha affidato la gestione dell’azienda, nonché amministratore delegato insieme al manager Andrea Marcellan: «Un buon risultato, quello dello scorso anno, anche se leggermente sotto i target che ci eravamo prefissati (il 2017 si era chiuso con 426,7 milioni di ricavi pe run ebitda del 18,19%) a causa del ripristino delle sanzioni statunitensi nei confronti dell’Iran, che per noi è un mercato importante. Rimaniamo comunque moderatamente positivi, poiché nei primi due mesi di quest’anno abbiamo rispettato i budget di crescita. In Italia ormai facciamo solo il 12% dei nostri ricavi e puntiamo in particolare sui mercati sud e nordamericani nonché sul Medio Oriente. In Egitto, in particolare, abbiamo di recente ottenuto un’importante commessa inerenti ai lavori di costruzione della nuova capitale amministrativa».
Con 2.500 dipendenti e 42 società in giro per il mondo, da produttrice di cancelli automatici come negli anni Ottanta oggi Faac è però diventata una sorta di software house che eroga servizi in chiave Industria 4.0, incluse avanguardie come la predictive maintenance.
«Oltre al vecchio core business — conclude l’amministratore delegato — abbiamo altre due divisioni che stanno trainando la trasformazione tecnologica dell’azienda, e cioè quella che gravita attorno al settore delle barriere automatiche e dei tornelli pedonali e, soprattutto, quella che si occupa di parcheggi con esazione e di meccanismi per zone a traffico limitato. Ed è qui che vediamo il valore su cui basare la crescita futura».
L’Economia, 15 marzo 2019