Forse non sono note e pesano ancora poco se misuriamo i punti di Pil. Ma sono un fenomeno che inizia a vedersi con chiarezza, un andamento che da sotterraneo è emerso in tutte le ultime indagini sull’economia reale: la ripresa conta sempre di più su due categorie di imprese, quelle nuove – capaci di sopravvivere – e quelle piccole già esistenti, ma svelte a intercettare i cambiamenti del mercato.
Una ricognizione dei dati di Banca d’Italia, Infocamere e Cerved delinea con maggiore evidenza rispetto al passato un’area industriale ancora piccola nelle singole dimensioni ma capace di restare in piedi, agganciare la crescita e fare anche profitti.
Le piccole in utile
Anche se lentamente continua a salire la quota delle imprese in utile. Ma il dato che fa notizia è che, per la prima volta dall’inizio della ripresa, hanno contribuito a questo incremento le imprese di piccola dimensione. L’indagine sulle imprese industriali e dei servizi, svolta dalla Banca d’Italia nei primi mesi di quest’anno su oltre 4.000 imprese private non finanziarie con almeno 20 addetti, segnala che la quota di aziende in utile è passata dal 73 al 75% proseguendo la traiettoria di crescita che era iniziata nel 2013. La novità però è il peso che in questo incremento, per la prima volta dalla ripresa, hanno le “piccole”, in buona parte grazie a una più matura propensione all’export, anche fuori dall’Europa, e a una ritrovata attitudine alla ricerca e agli investimenti privati (per effetto degli incentivi).
Le nuove imprese che resistono
Durante la doppia crisi, nel confronto internazionale le nuove imprese italiane sono quelle che hanno mostrato i peggiori tassi di sopravvivenza e di crescita. Negli ultimi anni il trend si è invertito. Nel 2017 il numero di aziende attive è aumentato di 50mila unità, grazie alla riduzione della mortalità. È vero che il tasso di natalità rimane su livelli inferiori a quelli prevalenti prima della crisi, ma per il terzo anno consecutivo – rileva Banca d’Italia – sono cresciute la capacità di sopravvivenza delle imprese giovani e il loro contributo al valore aggiunto e all’accumulazione di capitale. In altre parole è aumentata la “resilienza” delle imprese attive da meno di cinque anni, il cui tasso di sopravvivenza è cresciuto per il terzo anno consecutivo, tornando in linea con quello precedente la crisi (siamo intorno al 60 per cento).
Non sono solo numeri buoni per le statistiche. Infatti a determinare la crescita delle imprese attive c’è una dose rilevante di società di capitali, spinte dai vantaggi della formula Srl semplificata, ma c’è anche una capacità di consolidamento maggiore e di radicamento nelle trasformazioni tecnologiche 4.0. Cerved ad esempio segnala da un lato la crescita delle newco/microimprese che a un anno di vita superano la soglia di piccola e media impresa (+8,2%) e dall’altro evidenzia come, nell’ambito dell’industria, sia progressivamente aumentata la quota di nascite nei settori ad alta automazione, in dieci anni passata dal 45% al 50,5%.
Le startup vicine a quota 10mila
Alla fine del 2015 le startup innovative iscritte al registro speciale erano poco più di 5mila, secondo l’ultimo bilancio Infocamere sono ora 9.295. La fase della nascita senza crescita, che ha caratterizzato il primo periodo dopo il varo delle norme di favore nel 2012, sembra comunque archiviata. Uno studio Ocse di prossima pubblicazione mette a confronto la performance delle imprese beneficiarie degli incentivi per le startup con quella di altre aziende simili per caratteristiche (età, fatturato, valore dell’attivo e liquidità) ma mai iscritte al registro o iscritte successivamente.
La leva delle agevolazioni si è tradotta in un incremento del fatturato e del valore aggiunto rispettivamente pari all’8 e al 12% nei primi tre anni di attività. Sono inoltre più alte le performance relative all’accumulazione di capitale (del 15 per cento), in particolare in ricerca e sviluppo di brevetti, e alla produttività del lavoro (+11%) a parità salari e occupazione. Anche le startup innovative – tra più di un fallimento e qualche avventura troppo ardita – possono contribuire a un pezzetto di crescita. E magari riusciranno anche a dare una rinfrescata alla finanza di impresa in Italia, come dimostra la loro probabilità di ricevere fondi di venture capital: più del doppio rispetto alle medie ufficiali.