Le sfide (im)possibili del Made in Italy? Coltivare mele trentine in Armenia (Vitafruit); esportare servizi digitali dalla Murgia alla Silicon Valley (The Digital Box); costruire una metropolitana del deserto (3Ti Progetti). Tre esempi del successo italiano all’estero, ma non casi isolati. Come indica il balzo del 7,4%, a 448 miliardi, del nostro export nel 2017. E per il 2018, Sace prevede «una crescita delle esportazioni del 5,8%», anticipa il presidente Beniamino Quintieri, al convegno sul futuro dell’export organizzato a Palazzo Mezzanotte a Milano, davanti al padrone di casa Raffaele Jerusalmi, ceo di Borsa Italiana. Concluso con una tavola rotonda con Emma Marcegaglia, presidente di Eni, Fabrizio Di Amato, ceo di Maire Tecnimont, e Alessandro Decio, ceo di Sace.
Il trend positivo dell’export continuerà nel prossimo triennio a un tasso medio annuo del 4,5%, per raggiungere i 540 miliardi nel 2021, prevede il Rapporto 2018 di Sace. Salvo una guerra commerciale, che nel 2019 farebbe crollare l’export al 2,4% nello scenario estremo (solo il 5-10% di possibilità).
Il più ottimista è il numero uno di Unicredit, Jean Pierre Mustier: «Le piccole e medie imprese italiane hanno il business model giusto per il nuovo millennio», a differenza del modello della grande impresa francese. Le pmi italiane hanno «un immenso vantaggio competitivo», sostiene il manager francese parlando in inglese. Oggi «non c’è bisogno di grandi dimensioni, ma di innovazione, flessibilità, capacità di assumersi rischi e muoversi rapidamente. Questo non si trova in Francia, ma in Italia. Per questo siamo felici di essere qui. Vogliamo aiutare le pmi a crescere».
Merito del sistema Paese: «Quando gli italiani fanno squadra, vincono. Ma ora dobbiamo mantenere le riforme fatte, dal Jobs act all’industria 4.0, vitali per le imprese», sottolinea Licia Mattioli, vice presidente di Confindustria per l’internazionalizzazione. Claudio Costamagna, presidente («ancora per poco») della Cassa e depositi e prestiti, gruppo che controlla Sace, è d’accordo con Mustier. «Il Paese non è mai andato bene come negli ultimi 2 anni se si guarda all’economia», dice. «Ma queste pmi sono ancora troppo piccole. Devono crescere e non solo con il capitale a debito, ci vuole l’equity». E anticipa che il fondo F2i presto annuncerà la terza operazione. Ma l’Italia potrebbe fare ancora meglio. «Il divario logistico ci fa perdere 65-70 miliardi di export», dice Roberta Marracino, indicando negli investimenti in infrastrutture marittime e portuali la priorità, seguita dal potenziamento dell’e-commerce.