Il vino come apripista dell’esportazione dell’enogastronomia italiana nel Far East attraverso il porto di Trieste. Ieri il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli ha visitato i capannoni di FreeEste a Bagnoli della Rosandra, rilanciando il progetto dell’export in Cina, arrestatosi a causa della pandemia, dopo essere stato l’unico fra quelli contenuti nel memorandum d’intesa con Cccc ad andare oltre la teoria. Il quadro è cambiato e l’intesa con Pechino è stata messa da parte dopo la scomunica americana e il riallineamento del secondo governo Conte, ma è rimasta l’idea di servirsi del porto come trampolino per l’eccellenza del food verso mercati di grandi dimensioni, con un ceto medio in ascesa e orientato a consumi di qualità. In mezzo c’è stata l’emergenza Covid, ma il ritorno alla normalità richiede di riallacciare i fili interrotti.
«I rapporti col FarEast – dice Patuanelli nel corso del sopralluogo negli spazi ex Wärtsilä – sono fondamentali per il nostro paese», ma serve «un’organizzazione di filiera di distribuzione che funzioni». Il terminal FreeEste è collocato in regime di punto franco, con i suoi 240 mila metri quadrati di estensione, di cui 76 mila al coperto. È qui che l’Interporto di Trieste e l’Autorità portuale progettano uno spazio refrigerato che possa conservare bottiglie e contenitori in attesa della partenza per l’Asia. Si tratta di mettere a frutto le potenzialità del terminal intermodale, offrendosi come punto di riferimento per la logistica dell’agroalimentare del Nordest. La strategia coinvolge anche Fondazione Agrifood e Bioeconomy Cluster Fvg, che stanno conducendo lo studio della piattaforma specializzata all’esportazione di vino. La Fondazione nasce dal cluster dell’agroalimentare regionale e ne fanno parte dieci banche di credito cooperativo e Civibank, disposte a finanziare l’avvio del piano. L’idea è mettere in rete i piccoli produttori, che oggi si muovono in ordine sparso e che sono bisognosi di fare massa critica per garantirsi ricavi interessanti grazie a soggetti che curino tutto il processo, dall’acquisto al trasporto fino alla vendita oltreoceano. Australia e Francia lo fanno da anni: le cantine dei due paesi coprono rispettivamente il 40% e il 30% del consumo cinese, contro l’8% italiano. Proprio per questo, Patuanelli ha parlato di «progetto logistico importantissimo, che parte dal settore vitivinicolo ma potrà aprirsi ad altri mercati. Questa iniziativa si può inserire a pieno nel grande progetto per la logistica integrata dell’Agrifood che abbiamo sviluppato nel Pnrr. Questo progetto è certamente eleggibile per le risorse del piano nazionale e nelle prossime settimane faremo gli approfondimenti del caso».
Potrebbero insomma arrivare ulteriori fondi Pnrr, dopo la conferma dei 400 milioni collocati nel Fondo complementare per lo sviluppo del porto. Il progetto non è più quello contenuto nel memorandum con la Cina, confermato da un secondo accordo sottoscritto a Shanghai dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Il clima geopolitico è cambiato, ma restano i contatti avviati con le cantine locali e le conoscenze acquisite sul sistema commerciale cinese e sui terminal portuali più interessanti per l’export. Ora si attende il via della Regione, ma l’auspicio è di cominciare a esportare nel 2022: il magazzino refrigerato si può costruire in quattro mesi.
Per il presidente dell’Autorità Zeno D’Agostino, «l’incontro con Patuanelli è un segnale importante di attenzione verso il porto e le infrastrutture retroportuali. Si tratta di un primo passo con cui intendiamo dare slancio e integrare le filiere produttive regionali con le attività che fanno capo al sistema logistico portuale di Trieste». Paolo Privileggio, presidente e ad dell’Interporto, evidenzia che «il terminal di FreeEste sarà definitivamente ultimato all’inizio del 2022», quando avverrà il collegamento ferroviario con la stazione di Aquilinia. Ad agosto saranno concluse le opere di costruzione dei piazzali e l’ammodernamento dei magazzini. Come riconosce Privileggio, tuttavia, «l’investimento sarà completo solo all’arrivo di nuovi insediamenti industriali che massimizzeranno l’utilizzo del Punto franco internazionale e i suoi vantaggi doganali». Ma su questo fronte è tutto fermo, per la difficoltà a ottenere le autorizzazioni da ministero dell’Economia e Agenzia delle dogane.