Si moltiplicano i segnali di un più lungo rallentamento della crescita di Eurolandia. I dati sulla produzione industriale di novembre sembrano escludere la possibilità che il pil dell’Unione monetaria possa rimbalzare, se non marginalmente, nel quarto trimestre del 2018 – come si prevedeva – dopo il +0,2% registrato in estate. Il dato ha infatti segnato una flessione dell’1,7% mensile – dopo una revisione al rialzo dell’incremento di ottobre, portato al +0,1% dal -0,1% inizialmente pubblicato – e un decremento del 3,3% rispetto a novembre dell’anno scorso.
È il peggior dato degli ultimi tre anni. La flessione ha interessato tutti i settori, e in modo particolare quello dei beni capitali, in calo del 2,3% dopo il -0,7% registrato a ottobre. È anche venuta a mancare l’attesa ripresa del settore automobilistico (-1,8% mensile), in difficoltà già nei mesi precedenti per il cambiamento delle norme sull’inquinamento (ma ora anche per il rallentamento cinese); mentre il manifatturiero non auto è ormai a crescita zero. Tutti i grandi paesi hanno contribuito alla flessione: Germania (-1,9%), Francia (-1,3%), Italia (-1,6%) e Spagna (-1,6%).
Sembra quindi improbabile un rimbalzo del pil nel quarto trimestre. Barclays aveva già rivisto al ribasso le sue previsioni, che ora puntano a un +0,2%, con una crescente probabilità di un rallentamento allo 0,1%. «Guardando oltre – spiegano Radu-Gabriel Cristea e François Cabau – rischi al ribasso derivano dal commercio globale, dal rallentamento cinese, e dal perdurare di Brexit e della situazione italiana mentre le proteste in Francia hanno già depresso l’attività economica e potrebbero continuare a farlo». Per l’Italia Barclays prevede un -0,1% con una forte probabilità che emerga un dato anche peggiore.
Oxford economics continua a indicare un pil stabile al +0,2% per lo scorso autunno, ma con una crescente probabilità di una revisione allo 0,1%. Il rimbalzo – per Vanda Szendrei – è però solo rinviato, probabilmente a questo primo trimestre del 2019: il rallentamento continua a essere legato a fattori transitori, spiega, mentre «i fondamentali domestici restano forti». In Germania, in particolare, gli ordini inevasi erano ai massimi a novembre, i nuovi ordini in aumento e la disoccupazione in calo.
Continua invece a puntare a un +0,3%, in marginale accelerazione quindi dal +0,2% del terzo trimestre, la Hsbc. «La nostra previsione – spiega Chris Hare – è che la crescita possa oscillare tra lo 0,3 e lo 0,4% per tutto quest’anno e il prossimo; ma perché questo si avveri deve verificarsi una combinazione di due fattori. La produzione industriale deve stabilizzarsi, malgrado prospettive globali più deboli; e la domanda domestica, e in particolare quella dei consumatori, deve crescere a un ritmo sufficiente».
Fattore, quest’ultimo, che secondo la Hsbc è probabile: la crescita del terzo trimestre, in un contesto di produttività in aumento annuale pari a zero, è stata realizzata con un aumento dell’occupazione, accompagnata anche da un incremento dei salari. Tutto questo non esclude che qualche conseguenza potrebbe ora esserci – continua Hare – per la politica monetaria della Banca centrale europea: i rischi per la crescita potrebbero ora essere indicati come orientati verso il basso e non più equilibrati, mentre – aggiunto la Hsbc – sembrano esclusi a questo punto rialzi dei tassi per questo’anno e fino a tutto il 2020. Oggi le indicazioni della Bce indicano che i tassi potranno restare a zero almeno fino all’estate del 2019.
Meno ottimiste sono le previsioni dell’Ocse, che ieri ha pubblicato il suo leading indicator, un indicatore che permette di prevedere i punti di svolta (dall’espansione alla contrazione, e viceversa) con un anticipo di almeno sei mesi: per Eurolandia, la svolta nell’indice è stata registrata a dicembre del 2017 e si è progressivamente approfondita (senza indicare possibili rimbalzi): la frenata dell’Unione monetaria è iniziata subito dopo.
In un segnale di crescente nervosismo tra i politici europei per un rallentamento che si sta mostrando più pronunciato del previsto, ieri la nuova presidente della Cdu tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer, ha sollecitato una riduzione delle tasse in Germania. Conosciuta con l’acronimo che compone le sue iniziali, Akk, la leader politica si è detta favorevole a un rapido taglio delle imposte in modo «da prevenire» una frenata troppo brusca dell’economia. Più cauto fino ad ora si è mostrato il ministro delle Finanze, il socialdemocratico Olaf Scholz, secondo il quale l’alleggerimento fiscale sarebbe giustificato in presenza di un rallentamento evidente.