È arrivato il giorno decisivo per l’Europa. Oggi con il voto della maggior parte dei Paesi europei — tra cui quello dei big come Italia, Francia e Germania — si decide il futuro dell’Unione. Dalle 23, ora della chiusura dei seggi in Italia, sarà completato il più grande esercizio democratico transnazionale del pianeta che da giovedì scorso coinvolge più di 350 milioni di elettori. Già nella notte, tra exit poll e proiezioni, sarà possibile farsi un’idea su chi governerà il continente nei prossimi cinque anni, su quali saranno gli equilibri politici dai quali dipendono, ora come non mai, le sorti dell’integrazione Ue e della stessa democrazia liberale in Europa.
La certezza della vigilia è quella di un Parlamento di Strasburgo frammentato.Per la prima volta dal 1979 popolari (Ppe) e socialisti (Pse) non avranno la maggioranza dei seggi. Serviranno coalizioni ampie per governare l’Europa. I popolari, nel nostro Paese Forza Italia, sono in calo rispetto al 2014. In rimonta, invece, socialisti e democratici (Pse), dai noi incarnati dal Pd. Si rinforzeranno i liberali (+ Europa) grazie all’approdo tra i banchi dell’Alde di Macron e Ciudadanos e saliranno i Verdi, pronti all’exploit in Germania e Belgio. E sono proprio su queste quattro forze che puntano gli europeisti.
L’esito più probabile, infatti, è che il Parlamento verrà guidato da una larga coalizione — appunto Ppe-Pse-Alde-Verdi — da opporre all’avanzata sovranista. Insieme avrebbero una maggioranza confortevole a Strasburgo e rappresenterebbero 25 governi sui 28 che siedono in Consiglio europeo. Resterebbero completamente isolate l’Italia gialloverde così come l’Ungheria e la Polonia di Orbán e Kaczynski.
Lo scenario che fa paura, invece, è quello dell’onda nera. L’estrema destra dei sovranisti, nazionalisti e illiberali si presenta al voto spaccata. Anche se Salvini e Le Pen, con gli alleati di Afd e Vox, dovessero fare il botto, per incidere dovranno riuscire a creare un gruppo unico post elettorale con i Conservatori guidati dai polacchi del Pis e dai Tories inglesi (con loro Fitto e Meloni). Se riusciranno a unirsi, magari chiamando tra loro anche i grillini (al momento senza alleati credibili), Farage e Orbàn, sospeso dal Ppe, allora saranno un gruppo fortissimo a Strasburgo. E potranno tentare il Ppe a saldare un patto di governo europeo di ultradestra con l’intendo di distruggere l’Unione e virare verso il modello illiberale ungherese. Improbabile, ma Salvini ci lavorerà già da domani.
C’è infine la speranza progressista che risponde al motto “Da Tsipras a Macron”. Una coalizione di centrosinistra che parta appunto dal premier greco, abbracci socialisti e democratici, liberali e Verdi per arrivare al presidente francese. Difficile, ma possibile, visto la crescita socialista segnalata anche dal voto olandese di giovedì.
Mentre l’Europa farà i conti e inizierà a ragionare sulle alleanze, si aprirà anche la partita delle nomine: Commissione, Consiglio, Bce, Parlamento e Alto rappresentante. Un puzzle difficile, visto che con qualsiasi coalizione dovrà tenere in conto gli equilibri politici, geografici e di genere. In campo c’è il sistema degli Spitzenkandidaten, riforma democratica nata nel 2014 che assegna la presidenza della Commissione Ue al candidato di punta del partito che ottiene la maggioranza relativa alle europee. Per il Ppe, probabile vincitore, il bavarese Manfred Weber. Per il Pse l’olandese Frans Timmermans. Molti capi di governo, però, vogliono riprendersi la scena e cercheranno di affondare il sistema che privilegia elettori e Parlamento facendo fuori Weber già alla cena dei Ventotto in calendario martedì a Bruxelles. Sarà un negoziato lungo e ricco di sorprese.