Quando il territorio si solleva e diventa bolla calda della politica, come nelle recenti elezioni regionali in Emilia Romagna, osservo dal basso il cielo della politica. Per questo ci sono i politologi. Solo dopo ripercorro i luoghi cercando di capire le tracce dei flussi lasciati dalla politica nella composizione sociale. Cercando di guardare, più che al chi ha vinto e chi ha perso, al suo impatto nella geografia dei luoghi. Quindi, più che al “modello emiliano” da difendere o da conquistare, mi pare interessante ripercorrerlo come territorio-soglia dove si incontrano le lunghe derive della nostra storia socioeconomica e della sua metamorfosi. Qui più che altrove si è fatto racconto della terza Italia (Arnaldo Bagnasco), dei distretti e del modello Nec (Nord-Est e Centro) di Giorgio Fuà e Giacomo Becattini e delle Due vie dello sviluppo industriale, il libro degli studiosi americani Michael Piore and Charles Sabel.
È terra di evoluzione dei turismi con i suoi parchi a tema e Il distretto del piacere della Riviera con forme dei lavori creativi e dell’intrattenimento. Qui, nella fertile Pianura Padana, ha fatto simbiosi agroalimentare l’adagio “campagna florida-città ricca”. È un territorio denso tanto da posizionarsi nel nuovo secolo come un asse portante del nuovo triangolo industriale il Lover (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna). Qui mi interessa guardare a ciò che resta, dopo la faglia competitiva delle elezioni, nelle campagne, nelle città, nei distretti e nella composizione sociale. Nell’urbano regionale che va da Piacenza a Rimini si è rotta la città infinita emiliano romagnola. Le dinamiche del voto analizzate dall’Istituto Cattaneo vedono Stefano Bonaccini che si aggiudica 7 città capoluogo, contro 2 per Lucia Borgonzoni (Piacenza e Ferrara) e nella contabilità dei territori sono 4 per Borgonzoni (piacentino, parmense, ferrarese e riminese) e 5 per Bonaccini. Questi i dati freddi, ma a me interessa evidenziare le faglie territoriali e di composizione sociale. Si è rotta l’armonia dell’urbano-regionale in divenire che teneva assieme comuni polvere, piccoli comuni, città distretto, città medie capoluoghi di provincia e città regione. Si è rotta la simbiosi città-campagna dell’agroalimentare con le sue forme dei lavori, del produrre del territorio agricolo che ha fatto agroindustria di eccellenza.
La lettura tutta politica che disegna il blu e il rosso dei territori, quelli del margine, la periferia appenninica rispetto al centro o quella economicista usando il Pil e non il Bes, è insufficiente. Occorre comporre e scomporre anche le città distretto dell’Emilia manifatturiera, territori centrali della modernizzazione che vede la regione primeggiare tra Lombardia e Nord-Est. Gli 11 comuni centri dei corrispondenti distretti produttivi, da Mirandola a Faenza passando da Sassuolo e San Mauro Pascoli vedono la Borgonzoni prevalere su Bonaccini in 8 città-distretto su 11. Sono diventati contendibili gli ex distretti manifatturieri in metamorfosi nel produrre e nei lavori, ridisegnandosi in piattaforme produttive di capitalismo intermedio da medie imprese leader, anche la piattaforma turistica del loisir e del loisir globale Adriatico, il famoso distretto del piacere, compreso Maranello della mitica Ferrari
Non è solo questione di faglia tra margine e centro, ma anche di faglie nella comunità operosa dei ceti medi produttivi nelle città distretto, nelle città medie e nella città regione. Si tratta di capire come l’articolazione della composizione tecnica e sociale della comunità operosa, nelle sue componenti urbane e territoriali, il lavoro autonomo di prima, di seconda e di terza generazione, terziaria e manifatturiera si articola politicamente intrecciando componenti “rancorose” e “progressive”. Le elezioni ci fanno apparire la mela spaccata in due del ceto medio in metamorfosi. Una è espressione di una società in cui l’identità di produttori o di ceti produttivi si declina in modo tutt’ora più ancorato al sedimento soggettivo del ciclo del capitalismo molecolare dei distretti che probabilmente in sue componenti larghe, pur riuscendo a competere, si trova oggi spaesata e poco rappresentata. Il secondo ceto medio è espressione di una composizione sociale urbana e di un mondo urbano che guarda più che al territorio a una rete di città proiettata verso la conoscenza globale in rete a base urbana che prova ad affermare anche per via politica, una sua centralità e di conseguenza anche una centralità della città. Se questo è, andrebbe capito cos’è oggi la composizione sociale del filotto urbano che va di città in città da Piacenza a Rimini, passando per Bologna. Bologna appunto città-regione? Lì in mezzo tra le due identità medio padana e romagnola. L’armonia, la tenuta, che è fatta di coesione sociale e territoriale del tessuto produttivo urbano regionale, non è solo questione emiliano romagnola, ma anche lombarda e veneta. È la questione del grande Nord.