Caro direttore, quando si parla di coronavirus, il pensiero deve andare anzitutto alle vittime, ai pazienti, alle loro famiglie e a chi sta operando negli ospedali e nei laboratori per alleviare le sofferenze e trovare le cure. Tuttavia, anche gli effetti economici sono macroscopici: hanno colpito anzitutto l’economia cinese, ma stanno avendo ripercussioni sull’economia globale. Drammatico è l’impatto su turismo, viaggi e beni di lusso. In Italia l’emergenza sanitaria investe in particolar modo il turismo e i centri produttivi del Paese: Lombardia e Veneto valgono 30% del Pil nazionale. Le stime di crescita sono riviste al ribasso da banche e analisti. Dopo una fine 2019 molto debole, l’entrata del Paese in recessione sembra, purtroppo, molto probabile. Il governo ha già preso misure per le aree direttamente colpite e ne sta studiando altre a più ampio respiro.
Quando le economie subiscono uno shock esterno come quello del coronavirus, si fa spesso riferimento a un effetto economico a «forma di V». Secondo questo modello, a un calo brusco della crescita seguirebbe in tempi brevi, una volta passata l’emergenza, una robusta ripresa. Tuttavia, l’Italia, dopo le ultime crisi, più che una ripresa a V ha assistito a una stagnazione a L, con una recessione che si è trascinata in anni di crescita anemica. Le politiche economiche del passato non hanno sufficientemente sostenuto i consumi e facilitato la produzione.
Questa volta non deve essere così! Serve una reazione in due tempi: alcune misure immediate, tattiche, sul lato dei consumi, e altre di medio termine, strategiche, sul lato della produzione. Solo così si può facilitare la ripresa a V.
Per il sostegno ai consumi è necessario un intervento shock europeo, per esempio un programma di prestiti al consumo delle famiglie a tasso zero o estremamente basso e di natura perpetua, cioè senza necessità di restituire il capitale. Questo strumento, che utilizzerebbe il canale bancario e delle finanziarie, potrebbe essere disponibile per una finestra temporale di alcuni mesi. Si tratta di una misura attivabile solo dalla Bce con un intervento di politica monetaria non convenzionale.
Anche sul piano domestico però si può pensare a un pacchetto efficace di misure, sempre una finestra temporale di alcuni mesi, come: detrazioni fiscali per certi tipi di consumi con forte effetto moltiplicativo sul Pil; riduzioni di Iva nella ristorazione e nel turismo; facilitazioni straordinarie per rottamazione di beni di consumo durevoli; allentamento ragionato delle regole su promozioni e vendite sottocosto; riduzione di imposte e tasse su vendite immobiliari, almeno tra privati. Queste misure possono essere modulate creando una finestra temporale di carattere eccezionale e possono essere legate anche a politiche di riforma strutturale a medio termine, per esempio nel turismo domestico.
Infine, si dovrebbe sfruttarle per orientare i consumi verso una economia più sostenibile: si pensi all’effetto positivo di sostituzione di beni ad alto consumo energetico e tecnologicamente obsoleti. Il sostegno alla domanda si crea nel tempo anche con il taglio delle tasse, in particolare per quelle fasce che hanno minore capacità di spesa e quindi, se dotate di maggiore reddito, hanno ampi margini per aumentare i consumi. Il governo ha già annunciato misure in questo senso: ci si deve domandare se di fronte all’emergenza attuale esse possano essere anticipate e allargate, anche alla luce dei buoni numeri sul deficit nel 2019 rilasciati ieri dall’Istat.
Sul lato della produzione è naturale che nelle aree colpite si determini un calo e che questa ritorni ai livelli precedenti una volta finita l’emergenza. La crisi però ha messo in evidenza un tema di affidabilità e viabilità delle catene di fornitura a livello globale. Molte aziende stanno soffrendo dell’interruzione di filiere e rischiano di vedere spezzato per un tempo indeterminato il ciclo produttivo. Meccanica, elettronica, moda, farmaceutica, in realtà anche buona parte del manifatturiero italiano rischia di essere colpito da un ritardo delle forniture asiatiche.
Un ripensamento delle filiere è inevitabile, attraverso misure di ripopolamento industriale: innanzitutto uno specifico superammortamento per investimenti che riportino produzioni in Italia, si tratterebbe di un incentivo fiscale semplice e automatico che l’impresa inserisce direttamente in conto economico; un piano di premialità per le assunzioni dedicate a progetti industriali di reshoring, con attenzione a far sì che l’occupazione sia aggiuntiva; fast track autorizzativi per nuovi presidî produttivi e riabilitazione di quelli esistenti. Si deve facilitare la rimessa in attività di molti capannoni che punteggiano le nostre aree industriali e che sono inerti da anni: la pubblica amministrazione, attraverso uno sforzo di mobilitazione del sistema a tutti i livelli, deve mettere in atto procedure «emergenziali» di risposta.
Anche in questo caso vi è un effetto positivo sulla sostenibilità: l’accorciamento delle catene del valore avrebbe esternalità positive in termini di minori emissioni di CO2 della filiera. Si eviterebbero inoltre effetti indesiderati sulle importazioni che potrebbero arrivare dalla attesa Carbon Border Tax, di cui si parla in ambito Ue.
Tutte queste misure hanno un costo per il bilancio dello Stato e conosciamo bene i vincoli. Il tema deve essere posto e risolto a livello europeo, in un momento in cui tutti i Paesi cominciano a vedere la necessità di politiche espansive e di coordinare meglio politiche monetarie e di bilancio. Inoltre, lo sforzo non deve venire solo dal governo, serve una mobilitazione generale anche di cittadini, associazioni di categoria, commercianti e imprese, che metta in circolo idee, progetti, risparmi. Una modernizzazione per esempio in certe aree dell’offerta turistica condurrebbe a un aumento della domanda dall’Italia e dall’estero. Il sistema bancario e il mercato dei capitali dovranno egualmente mobilitarsi e sostenere questi investimenti di modernizzazione.
Quando si è colpiti da una situazione così grave e imprevedibile bisogna trovare soluzioni per l’immediato e allo stesso tempo progettare il futuro. Dobbiamo apprendere dagli errori delle crisi passate, dove l’Italia ha in gran parte subito i cambiamenti globali e ha stentato a ritrovare un senso di direzione, ma ha beneficiato del forte aumento dell’export. È il momento di agire perché il Paese recuperi la fiducia.