Per il secondo anno di seguito è una donna a guidare la giuria scientifica del Premio Letterario Galileo. La tredicesima edizione del concorso dedicato ai libri di divulgazione scientifica vede la senatrice Elena Cattaneo, ma soprattutto docente universitaria, farmacologa e biologa, a capo del gruppo di giornalisti e docenti universitari che selezionerà le cinque opere finaliste. «Dopo la fase sperimentale che ha dato risultati positivi l’anno scorso, continuiamo il rilancio del premio con una presidenza di prestigio» commenta Andrea Colasio, assessore alla Cultura del Comune di Padova che promuove il concorso nato nel 2007. Sicuramente la scelta di Elena Cattaneo contribuisce a dare lustro al Premio. Nota internazionalmente per le sue ricerche sulle cellule staminali, è a capo di numerosi team di ricercatori, e ha all’attivo oltre cento pubblicazioni scientifiche.
Sempre più spesso vediamo donne (e molte sono italiane) a capo di team di scienziati, soprattutto all’estero. Oggi la scienza parla al femminile?
«Che l’essere donna non escluda il poter essere scienziata, oltre che tutto il resto, lo dimostrano le conquiste e i riconoscimenti ottenuti da tante colleghe in tutti i campi, in tutto il mondo. La consapevolezza delle proprie potenzialità è più forte che in passato, e mi aspetto che migliori la coscienza collettiva che la competizione non può essere un’esclusiva di un sesso».
Quanto servono premi come il Galileo a diffondere l’amore per le materie scientifiche?
«La scienza compie la sua opera solo se riesce a contaminare i tanti ambiti della nostra società e della nostra esistenza. Spesso mi accorgo che la difficoltà ad affermare i fatti discende anche dalla scarsa abitudine a un ragionamento di tipo scientifico, basato sulle prove disponibili e non sulle opinioni. I libri di divulgazione scientifica di qualità sono un’occasione preziosa per far innamorare grandi e piccoli dell’avventura della conoscenza e delle storie degli uomini e donne che l’hanno condotta e vinta. Magari a volte anche fallendo per poi ricominciare su un’idea nuova che riaccende la passione».
Anche lei è stata un cervello in fuga andando a proseguire le sue ricerche al MIT di Boston, e un dato recente registra 28mila laureati con la valigia in mano. Da senatrice, come si può invertire la marcia?
«La mia esperienza all’estero è stata fondamentale per indirizzare la mia vita verso lo studio della malattia di Huntington. L’estero è stato una parentesi, l’avventura continua ancora oggi dall’Italia, in un laboratorio di ricerca alla Statale di Milano. Però capisco quanti decidono di realizzarsi all’estero. Il nostro Paese purtroppo stenta a comprendere il valore delle idee in tutti i campi del sapere; da anni i nostri governi – pur con rare e preziose eccezioni – hanno rinunciato a investire seriamente in ricerca. Un Paese che non investe nelle idee si rintana nel passato, rinuncia a innovarsi, perde le passioni, il sentirsi parte di qualcosa che è più grande del singolo, e cioè la nostra coesione sociale».
Quali consigli dà a giovani laureati che ricevono le lusinghe dall’estero?
«Non c’è una ricetta valida per tutti. Il mio consiglio ai giovani è di inseguire le proprie passioni, accumulando quanta più esperienza possibile, in Italia come all’estero, e non abbandonare mai le proprie idee, ma esporsi anche pubblicamente, se necessario, per difenderle. Bisogna rimboccarsi le maniche e partecipare alla costruzione delle nostre società. Il mio augurio è che scelgano di farlo in Italia, agendo perché le cose che oggi non vanno possano migliorare per tutti».
*Corriere del Veneto, 27 dicembre 2018