Quest’anno a presiedere la giuria tecnica del Premio Galileo è stata Elena Cattaneo, la biologa che Giorgio Napolitano ha nominato “senatore a vita”, sottolineando in questo modo il grande valore delle sue ricerche. Un nome prestigioso, ma anche una donna che ha a cuore le sorti della scienza in Italia.
Senatrice, che idea si è fatta dello stato attuale della divulgazione scientifica in Italia?
«Il linguaggio della scienza non è facile né di immediata comprensione, quindi non aiuta a creare vicinanza. Ma la divulgazione oggi sta cambiando registro e approccio: è più accessibile, empatica, diretta, anche per rispondere all’esigenza di adattarsi e contaminare i nuovi mezzi di comunicazione. In gran parte dei libri in concorso, ad esempio, la vera protagonista è la passione palpabile che anima chi lavora per la conoscenza. Ogni scoperta, ogni studio è raccontato a partire dall’idea o dall’intuizione da cui è nata un’impresa, dal fallimento che ha cancellato una delle strade percorse e dal coraggio di ricominciare percorrendone un’altra, senza perdere di vista l’obiettivo, fino al risultato raggiunto a vantaggio di tutti noi».
Nella cinquina di quest’anno pare ci sia una sottolineatura del ruolo civile ed etico della scienza. Era voluto?
«La cinquina è il risultato di un lavoro corale, ma non concordato, frutto delle preferenze dei singoli giurati. Sono felice che l’esito sia stata la selezione di titoli ricchi di rimandi alle sfide del nostro presente. In generale, ritengo che la scienza abbia, nella nostra società, un ruolo fondamentale nel rendere più responsabili le decisioni politiche e più consapevoli i cittadini nelle loro scelte quotidiane. E sono convinta che sia dovere di ogni studioso rivendicare espressamente il proprio ruolo civile ed etico. La società non può permettersi di prescindere dalle conquiste di conoscenza che la scienza permette, in ogni ambito del nostro vivere».
A cosa è dovuta la diffidenza verso la scienza oggi?
«Le neuroscienze evidenziano come la diffidenza abbia anche una spiegazione evolutiva: il nostro cervello, a fronte di un progresso tecnologico sempre più veloce, è rimasto per molti aspetti lo stesso del Pleistocene, quando vivevamo nella savana circondati da pericoli ignoti e le uniche preoccupazioni erano sopravvivere e nutrirsi. Ragionare in termini di “qui ed ora” era più funzionale rispetto al considerare un medio/lungo termine quanto mai incerto. Il metodo scientifico, invece, richiede una serie di passi e verifiche che sono controintuitive rispetto a questo atteggiamento, e non può essere compreso e usato correttamente se non si è preparati a fare i conti con i propri pregiudizi cognitivi. La divulgazione è un ottimo strumento per aggirare e superare la pigrizia del nostro cervello».
Divulgare significa in qualche modo tradurre da un linguaggio a un altro. Quali doti richiede?
«Credo sia essenziale riuscire a trasmettere con semplicità la passione per quello che si fa a cittadini non esperti ma sicuramente altrettanto appassionati e curiosi delle infinite potenzialità che la scienza apre e offre in ogni istante. L’importante è farlo rispettando l’impegno tacito, ma mai negoziabile, ad essere sinceri e riportare i fatti, a “dire come stanno le cose” , teorizzato da Jacques Monod. Credo inoltre che non esista fatto di scienza che non possa essere spiegato ai cittadini».
C’è un libro che le ha trasmesso la passione per la scienza?
«”Preferirei di no” di Giorgio Boatti. L’ho letto la prima volta almeno vent’anni fa, quando avevo già fatto la mia scelta di vivere di scienza e ricerca. Me l’hanno regalato tre volte e ogni volta l’ho riletto. La storia dei dodici professori universitari che dissero di no a Mussolini ci insegna due cose: la prima è che la scienza è libera, non può avere paletti e limitazioni mentre lavora nell’interesse di tutti noi. La seconda è che anche poche persone, a volte ne basta una sola, possono fare la differenza. Tuttora guardo con ammirazione a colleghi in Italia e all’estero che con i loro comportamenti sanno “indicare la strada”» .
Quanto c’è ancora da fare perché in Italia la cultura scientifica diventi un patrimonio realmente diffuso?
«La curiosità verso la scienza, soprattutto tra i giovani, è tanta, ma spesso non trova una risposta immediata. Molti ragazzi, se non incoraggiati, rischiano di sprecare talento, vocazione e capacità. Per questo, da ben undici anni, organizziamo ogni anno l’Unistem Day, una giornata dedicata alla divulgazione della cultura scientifica che si svolge in contemporanea in diverse città e Atenei. Tutti uniti nell’obiettivo di far conoscere ai ragazzi delle superiori i tanti volti della ricerca».
*Il Mattino di Padova, 5 maggio 2019