«Quello che è cambiato è che, prima, la nostra attenzione andava tutta verso il cliente. Dal Covid in poi, abbiamo chiaro che i nostri fornitori hanno uguale e fondamentale importanza. Senza una filiera efficiente in grado di garantire la produzione, avere mercati di sbocco non serve più a nulla». È un nuovo cambio di paradigma, dovuto alla doppia crisi che ha colpito l’economia globale e quella europea in particolare. A spiegarlo è Diego Bolzonello, amministratore delegato di Scarpa, all’uscita da uno degli incontri che il Festival Città Impresa di Vicenza, appena concluso, ha dedicato alle aziende Champions (il gruppo di Asolo lo è dalla prima edizione, cinque anni fa).
C’è un punto chiave, nelle parole di Bolzonello. Indica nella velocità di reazione al cambiamento da parte di queste imprese, Top Performer non a caso, il primo elemento a favore di una teoria: quella che spiega perché anche la «crisi da guerra», almeno fin qui e almeno tra gli stessi Champions, sia meno grave di quanto alcuni avevano previsto. Mettiamola così. Questi sono imprenditori che non pensano ai mercati come a mari sempre tranquilli: lo mettono nel conto del «fare impresa», il dover navigare anche tra le tempeste. Quando succede — come con Lehman, e poi con il Covid, e ora con la guerra — sanno di poterle affrontare con la solidità finanziaria che hanno costruito negli anni e che continuano a rafforzare (amano definirsi «zero debiti», ed è effettivamente così). Da quella solidità, possono dedicarsi a cercare nuove rotte e nuove soluzioni.
Rompere i tabù
Può trattarsi di rompere il tabù del just in time e riempire i magazzini in previsione di un aumento dei prezzi delle materie prime (lo hanno fatto quasi tutti). O di «multilocalizzare» gli stabilimenti per evitare che una qualsiasi crisi regionale interrompa le produzioni o le forniture (Carel è tra i Champions che si sono mossi per tempo). O di non aspettare l’eterna riforma del cuneo fiscale per far partecipare i dipendenti ai ricchi utili 2021 e distribuire, intanto, robusti bonus (come i 3.500 euro riconosciuti da Piovan, o le cifre comunque consistenti decise da molte altre aziende). Oppure, ancora, di formare i giovani in casa, con le Academy, senza aspettare che a decidersi siano finalmente le Università. Bene. Su questi come su altri fronti è un fatto che loro, le Imprese Champions, siano sempre un passo avanti.
I risultati? Nel 2020 tengono sul fatturato e addirittura incrementano al redditività. Nel 2021 approfittano della ripresa e sfornano risultati record. Nel difficilissimo 2022, almeno sulla base delle previsioni che circa 200 imprenditori (su mille) hanno comunicato all’Ufficio Studi di ItalyPost, dovrebbero comunque riuscire ad aumentare il fatturato in media del 10% (quindi qualcosa in più dell’inflazione), mentre utili netti e profitti operativi dovrebbero salire del 2,5%. Numeri di tutto rispetto, considerato il contesto, che confermano come questa «avanguardia imprenditoriale» sia sufficientemente reattiva, oltre che capace di trascinare intere filiere o di assorbire realtà in crisi (come sta cercando di fare per esempio la lombarda Lu-Ve con la Acc di Mel, in provincia di Belluno, passata un mese fa dall’amministrazione straordinaria alla chiusura vera e propria).
Certo, le medie non dicono tutto. Settore per settore, azienda per azienda, c’è chi vede i margini contrarsi e chi invece addirittura li allarga. Ma complessivamente la tenuta c’è, ed è frutto della capacità di rimodulare velocemente le strategie a seconda del contesto. È vero, nemmeno qui mancano i «rancorosi»: ovvero chi, dopo aver incassato lauti guadagni negli anni precedenti, a ogni crisi invoca aiuti dalla politica, come se guidare un’azienda significasse garantirsi utili negli anni buoni e far pagare alla collettività il rischio d’impresa (cioè le perdite). Sono una nettissima minoranza. I più, tra i Champions, la pensano come Daniele Lago: «Dentro ogni crisi, inclusa questa, dobbiamo cercare le nuove opportunità che comunque si aprono».
Per precorrere i tempi. E ovviamente per crescere. Ricorda, a chi scrive, Oscar Marchetto di Somec: «Ci siamo incontrati la prima volta otto anni fa, quando fatturavo poco più di 20 milioni. Ora, tra un’acquisizione e l’altra, ho superato la soglia dei 300 milioni, mantenendo lo stesso livello di redditività, e sono pronto a fare ulteriori passi in avanti molto importanti». È un approccio del tutto estranee al chiacchiericcio di alcuni sulla contrapposizione tra piccoli e grandi. «Una diatriba vecchia e inutile» per Stefano Micelli, economista, docente di International Management all’Università di Venezia, che sottolinea come «piccolissimi, piccoli, medi e grandi devono essere parte di un sistema capace di creare coesione sociale ed economica a vantaggio di tutti».
Anticipare le tendenze
Dopodiché: tra i Champions vince il low profile, ma anche lo sguardo «basso», alla realtà e alle tendenze del mercato. E «basso» ha a volte un senso letterale. Esempio, ancora dal Festival Città Impresa appena chiuso a Vicenza. L’amministratore delegato che ha appena finito un dibattito e adesso passeggia per il centralissimo Corso Palladio tiene gli occhi fissi a terra. Dopo qualche attimo diventa chiara la ragione: è concentrato a guardare ogni singolo paio di scarpe, a osservare i gusti e le scelte di ogni consumatore. Sta cioè verificando, letteralmente (di nuovo) passo dopo passo, quali siano le tendenze del mercato.
Ecco perché queste imprese sono la forza del Paese. Lo sappiamo da tempo. Hanno semmai un unico grande limite: non capire che, di fronte all’incapacità della politica di dare risposte ai problemi di attrattività dei territori o a quella delle università di formare giovani all’altezza del mondo 4.0, se vogliono sopravvivere e continuare crescere devono occuparsi — direttamente e insieme — anche di questo. Di attrattività dei territori e di formazione professionale a tutti i livelli, Università inclusa. Lo stanno facendo a Parma aziende top performer come Dallara e Davines, con progetti sui quali convergono e sono impegnate imprese grandi e piccole. Ma Parma è un caso, per quanto bellissimo, isolato. Sono i Champions di tutta Italia che, per rimanere tali, dovranno per forza incominciare ad andare — come dice il sociologo Aldo Bonomi — «oltre le mura dell’impresa».