Non hanno aspettato che Giuseppe Conte tornasse dal Vietnam. Uno sgarbo. Matteo Salvini e Luigi Di Maio non lo hanno nemmeno messo a conoscenza del vertice che stavano organizzando a casa sua, a Palazzo Chigi. Solo una telefonata, a poche ore dal faccia a faccia, che sa di pura cortesia istituzionale. Certo, i due vice premier avevano bisogno di guardarsi negli occhi e di recuperare un rapporto personale che si era guastato negli ultimi mesi, ma dietro all’incontro carbonaro ci sarebbe anche un forte risentimento nei confronti di Conte: non hanno mai digerito quella conferenza stampa in cui il presidente del Consiglio li ha messi di fronte alle loro responsabilità, minacciando le dimissioni. E così, alle sue spalle, è stata trovata una sintonia sulla linea che proprio Conte dovrebbe tenere a Bruxelles, per convincere gli altri Stati membri a non dare seguito alla minaccia di una procedura di infrazione contro l’Italia.
I risultati delle urne hanno piegato l’alleato grillino e consegnato al leader leghista il bastone di comando. Il vertice è servito a codificare i nuovi rapporti di forza. Infatti, le risposte del capo M5S alle richieste di Salvini sono state tutte dei sì netti, anche sul decreto “Sblocca-cantieri”. Ce n’è chiara traccia anche nella nota diffusa al termine del vertice, in quella parte in cui si considera prioritaria la riduzione delle tasse. «Servono misure straordinarie e nessun aumento delle tasse. I maggiori incassi dell’Irpef e dell’Iva quasi dell’8 per cento e la diminuzione della disoccupazione rispetto al 2018 nei primi quattro mesi di quest’anno ci dicono che siamo sulla buona strada». Nemmeno un cenno al salario minimo, cavallo di battaglia dei 5 Stelle. Anche nella trattativa sul nome del commissario italiano da proporre in Europa c’è un cedimento grillino. «Fai tu una proposta», si arrende Di Maio. Disposto persino ad un rimpasto. I 5 stelle giurano che non se ne sia parlato durante il vertice, ma si dicono anche disponibili a mettere sul piatto un loro ministero di peso: Infrastrutture o Sanità. Ma Salvini, per ora, di poltrone non vuol parlare. Semmai, il leghista è preoccupato per la tenuta del gruppo M5S. In particolare, a Palazzo Madama. Di Maio ha provato a rassicurarlo: «La riorganizzazione del Movimento sarà rapida. E aiuterà a calmare le acque».
Il tandem Salvini-Di Maio sembra ripartire tra lo scetticismo di molti leghisti di primo piano, ma il motore si è comunque rimesso in moto. «Il governo deve andare avanti», è l’auspicio di entrambi.
Il vero problema è Giuseppe Conte. Sarà d’accordo sulla linea dura da tenere in Europa o seguirà i consigli di moderazione che arrivano dal Quirinale? Il premier ha ricordato che le regole europee, fino a quando non verranno cambiate, devono essere rispettate. E lui non intende passare alla storia come il primo premier italiano a subire una procedura di infrazione. «O se ne fa una ragione o si dimette», è però la minaccia che arriva da una riunione convocata da Salvini con i responsabili economici del Carroccio. E anche Di Maio appare allineato alla posizione del Carroccio: «Dall’Ue arrivano lettere paradossali. Non la respingeremo al mittente, ma la discuteremo, senza commettere l’errore di lasciare la trattativa in mano ai burocrati». Il capo politico M5S chiede poi un cambio di passo all’Europa: «Se la ricetta è sempre la stessa o sei in malafede o sei incompetente. Questa Commissione non ha imparato nulla dagli errori fatti». Ma è lo stesso Di Maio, durante il vertice a Chigi, a chiedere di fare attenzione ai mercati. Salvini, invece, non teme lo spread: «La nostra bilancia dei pagamenti è in attivo», ha risposto. E comunque, la soglia del 3 per cento di rapporto deficit/Pil verrà rispettata, lo ha rassicurato il leader leghista.
Per trovare una quadra servirà un altro vertice, questa volta con Conte. La prima occasione utile arriverà la prossima settimana. Forse già lunedì. In tempo per consentire al ministro dell’Economia Giovanni Tria di conoscere la posizione unitaria del governo, quando martedì dovrà presentarsi in Senato per riferire sulla procedura di infrazione. Salvini spera che Tria sposi la tesi di andare a un confronto duro, non tanto con la Commissione Ue, ma con i governi europei che poi, di fatto, dovranno decidere se avviare concretamente, all’inizio di luglio, le sanzioni e i controlli.