La povertà, come in certi brutti sogni, si sdoppia. C’è una povertà pre-pandemia ed una post-pandemia. E lo sdoppiamento è veramente tale, dato che le due povertà presentano volti davvero diversi. Il primo volto è quello presentato come di consuetudine dall’Istat. È un volto confortante – per quanto può esserlo un fenomeno come la povertà – dato che i numeri parlano di un calo sensibile della povertà assoluta (quella più grave) e di stabilità di quella relativa. Il calo della prima ha beneficiato soprattutto il centro-sud per effetto – nota l’Istat – del reddito di cittadinanza, mentre nel Nordest la povertà assoluta ha dato invece modesti ma spiacevoli segni di crescita. E poi la povertà non segue solo i confini geografici, ma anche quelli sociali, penalizzando ancora una volta le coppie con figli minori e le famiglie monogenitoriali, alla faccia delle rituali lamentazioni sulla denatalità (ma qui c’è da sperare nell’efficacia del cosiddetto «Family act» approvato dal Governo pochi giorni fa). Viceversa chi ha bassi tassi di povertà sono proprio gli anziani, gli eredi di quelle «generazioni fortunate» vissute in congiunture più generose e garantite. In sintesi emerge un quadrilatero di concentrazioni della povertà.
I l primo lato è quello geografico, con un Mezzogiorno sempre pesantemente segnato pur se alleviato, come s’è detto; il secondo lato è quello delle famiglie giovani, numerose e prolifiche, lodate a parole ma penalizzate dai fatti; il terzo lato è quello degli stranieri, il 27 per cento dei quali vive in povertà assoluta; infine il quarto lato riguarda i minori, specie i preadolescenti: per loro povertà e disagio educativo e psicologico si mescolano perversamente. Ma c’è poi una seconda povertà, quella attuale, o meglio dire prossima, quella post-pandemia appunto, che rischia di far apparire il minuzioso quadro statistico appena prodotto dall’Istat – che è riferito al 2019 – solo una fotografia precocemente ingiallita quanto confortante. Confortante se di mezzo non ci fosse stato un virus malvagio con tutto quello che ne è conseguito da febbraio in qua. In realtà la pandemia da fatto biologico si fa realtà socio-economica, contrassegnata da povertà e disuguaglianze. Povertà per il crollo verticale del Pil (un crollo che potrebbe perfino essere a due cifre), ma anche disuguaglianze perché, come ha segnalato la Banca d’Italia, la crisi economica porterà ad una riduzione delle entrate che per il 20 per cento delle famiglie con redditi inferiori sarà «due volte più ampia di quella subita dalle famiglie appartenenti al quinto più elevato» ovvero al 20 per cento che ha redditi maggiori. Come dire che anche la povertà riproduce ed esalta le disuguaglianze, facendone una specie di odiosissimo Robin Hood alla rovescia. Per utilizzare Keynes – che di crisi se ne intendeva – invocare oggi i sacrifici ha senso solo quando questi si mescolano alla giustizia sociale. Che oggi rischia di essere l’ennesima vittima del virus.