Ieri è atterrato sui tavoli della Commissione europea un rapporto che, chiunque sieda a Palazzo Chigi a quel punto, complicherà l’estate del governo. Prima ancora del Documento di economia e finanza approvato nel pomeriggio, anche a Bruxelles ieri mattina è stato letto con cura un testo in apparenza meno controverso: l’aggiornamento dell’Istat, l’istituto statistico, sul prodotto interno lordo e l’«indebitamento delle amministrazioni pubbliche» per il 2017 e il 2018. Lì si trova il bandolo di ciò che può accadere all’Italia prima ancora che in autunno vengano al pettine i nodi della legge di bilancio.
La nota dell’Istat rivela infatti un dettaglio destinato ad assumere peso fra un mese e mezzo, quando saranno alle spalle le elezioni europee. L’anno scorso, nota l’istituto statistico, si è chiuso con il deficit pubblico al 2,1% del prodotto lordo. È un livello di appena 0,2% oltre gli obiettivi espressi più di recente, ma 0,5% più di ciò che il governo di Paolo Gentiloni aveva indicato nel suo ultimo Documento di economia e finanza prima di lasciare. Nella Commissione Ue si stanno ancora facendo i conti, ma un risultato sembra assodato: nel 2018 non c’è stato o quasi «aggiustamento strutturale». Nessun miglioramento del deficit, in altri termini, una volta stimate le misure passeggere e l’effetto della situazione momentanea dell’economia. Lo ha del resto notato ieri anche il Fondo monetario internazionale nel suo ultimo rapporto: vede in Italia un deficit strutturale in peggioramento (seppure lieve) nel 2018 rispetto all’anno prima.
In realtà sembra un dettaglio da poco, a confronto con il resto. Il debito lievita verso il 135% (secondo l’Fmi), l’economia è ferma o in contrazione, e in autunno servirà una correzione di bilancio da almeno 35 miliardi per un Paese sempre intrappolato nei suoi squilibri (secondo Nicola Nobile di Oxford Economics). Rispetto a problemi del genere il mancato «aggiustamento strutturale» del 2018, a prima vista, non è niente. Tuttavia nell’ingranaggio delle regole europee quell’ennesimo impegno disatteso da parte dell’Italia innescherà un nuovo esame ad hoc sulle condizioni del Paese. Già nel maggio di un anno fa infatti il governo a guida Pd rischiava l’apertura della stessa procedura per deficit eccessivo «basata sul debito» a cui poi l’esecutivo sovranista sarebbe andato vicinissimo in novembre scorso. Al problema del debito che non calava Gentiloni e i suoi ministri risposero a Bruxelles con una promessa che, allora, placò le acque: nel 2018 il «deficit strutturale» dell’Italia sarebbe sceso di 0,3% del Pil. Da pochi giorni invece è ormai chiaro come anche quell’impegno, che allora disinnescò la procedura, sia rimasto vuoto.
Vista da Bruxelles non è una mancanza da poco. Le regole europee di bilancio hanno natura di legge e non solo politica, si possono interpretare ma non ignorare. Di conseguenza, subito dopo il voto europeo del 26 maggio, la Commissione Ue dovrà stilare un cosiddetto «rapporto 126(3)» (dall’articolo del Trattato europeo) che rappresenta il primo passo di una procedura per deficit eccessivo, in questo caso basata sul debito. Dunque già a giugno l’Italia tornerà in gioco a Bruxelles, esattamente come lo era a novembre. L’esito non è scontato, perché non è chiaro l’esito delle Europee né si svolgerà il passaggio di poteri fra la Commissione di Jean-Claude Juncker e i suoi successori. Ma, mentre Lega e M5S continuano a far fiorire le promesse in deficit, da varie capitali resta fortissima la pressione su Bruxelles per mettere sotto controllo un’Italia ormai giudicata imprevedibile. E il governo è isolato in Europa. Persino il prevertice previsto oggi sulla Brexit, nella prima lista di inviti, prevedeva solo i leader di Germania, Francia, Spagna, Olanda, Belgio e Danimarca. Nessuno altro.