L’orgoglio italiano lo professa a testa alta davanti ai professori e agli studenti della scuola d’eccellenza Sant’Anna di Pisa che lo applaudono durante la lectio magistralis che anticipa la laurea honoris causa in Scienze economiche. Mario Draghi non risparmia critiche a un’unione monetaria che, pur essendo stata un successo fondamentale per l’Europa, non ha ottenuto «tutti i risultati che ci si attendeva, in parte a causa di politiche nazionali incoerenti, in parte per l’incompletezza della stessa unione monetaria che non ha consentito un’adeguata azione di stabilizzazione ciclica durante la crisi».
Ma subito dopo il presidente della Bce svela gli inganni di chi dipinge l’Europa come un club di tecnocrati capaci di togliere la sovranità di cambio e di moneta e dimostra con dati e cifre ai nostalgici della vecchia lira che un ritorno al passato sarebbe un tuffo nel baratro. «Dal varo dello Sme nel ’79 alla crisi del ’92 la lira fu svalutata 7 volte — ricorda — eppure la crescita della produttività fu inferiore a quella dell’euro a dodici, la crescita del prodotto pressappoco la stessa, il tasso di occupazione ristagnò e l’inflazione al consumo toccò il 240% contro il 49% della Germania».
L’Ue ha anche una razionalità storica. «Fu una risposta eccezionale, oggi diremmo antistorica, a un secolo di dittature, di guerre, di miseria che in questo non era stato dissimile dai secoli precedenti». Eppure oggi per molti i ricordi che ispirarono queste scelte appaiono lontani e irrilevanti «e il fascino di ricette e regimi illiberali si diffonde: a piccoli passi si rientra nella storia. È per questo che il nostro progetto europeo è oggi ancora più importante».