L’economia torna a preoccupare i mercati. Il nuovo monito di Mario Draghi, accompagnato dai dati deludenti sull’attività manifatturiera nella zona euro, in particolare in Germania, ieri ha spaventato gli investitori, in fuga dalle Borse verso il reddito fisso. E il Bund decennale tedesco, per la prima volta da ottobre 2016, è sceso sotto zero.
«Osserviamo una debolezza protratta e incertezza pervasiva, ma la probabilità di una recessione nell’area euro è abbastanza bassa»: è questa la sintesi della situazione economica europea che il presidente della Bce ha fatto ai capi di Stato e di governo durante il vertice europeo. Secondo fonti Ue, Draghi ha spiegato che la ragione principale è il rallentamento significativo del commercio internazionale. Ma finora l’effetto sulla domanda interna, cioè consumi e investimenti, è limitato. Per Draghi, in questa situazione, è ancora necessario un grado sostanziale di accomodamento monetario. Come la Bce ha deciso nell’ultima riunione di inizio marzo, annunciando che i tassi di interesse resteranno a zero per tutto il 2019, insieme a un nuovo round di prestiti agevolati alle banche per rilanciare il credito a famiglie e imprese.
Draghi ha affrontato anche l’addio del Regno Unito. Le conseguenze in termini aggregati per la zona euro della Brexit sull’economia reale sono piccole, anche se alcuni Stati sono maggiormente esposti, ha detto il presidente Bce. Invitando però le aziende a prepararsi anche a un possibile no deal: «Le banche centrali e le autorità sono pronte, ma il settore privato deve intensificare i preparativi nel caso di un’eventuale Hard Brexit».
La prudenza di Draghi è condivisa Oltreoceano. Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, a inizio settimana ha indicato che quest’anno non ci saranno rialzi dei tassi di interesse, oggi tra 2,25% e 2,5%, mentre prevede un solo ritocco nel 2020, a dimostrazione che nemmeno l’economia americana è immune dai rischi. Come ieri ha segnalato l’indice Pmi americano, che misura l’attività del settore manifatturiero negli Stati Uniti, sceso in febbraio dello 0,5% a 52,5, sotto le attese degli analisti.
In Europa la congiuntura desta più allarme. In Germania a marzo l’indice manifatturiero si è contratto per il terzo mese consecutivo, scendendo a 44,7 punti dai 47,6 punti di febbraio, ai minimi da oltre 6 anni, mentre gli analisti si aspettavano un miglioramento a 48 punti (i 50 punti rappresentano la soglia tra un’economia in espansione e la fase di contrazione). Ma è l’intera eurozona a peggiorare con l’indice in calo da 49,3 a 47,6 punti. È un segnale preoccupante per il Pil. Così hanno chiuso in rosso tutti i listini, con Londra maglia nera (-2,02%), Parigi in calo dell’1,98%, Francoforte dell’1,52%, Milano dell’1,38% e il Dow Jones dell’1,8%. La corsa degli investitori verso i titoli di Stato ha fatto scendere i rendimenti: se il Bund è sceso in terreno negativo, i titoli del Tesoro Usa decennale hanno toccato il nuovo minimo dell’anno (2,45%), mentre il tasso del Btp decennale è calato al 2,44%, con lo spread a 247 punti.