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Domenico, che da sempre, noi fratelli, chiamiamo Nico, ha 26 anni e lavora da diverso tempo con papà. È lui ad accompagnarmi nel mio primo giorno ufficiale di lavoro in fabbrica. Mi ha presentato agli operai, ma mi conoscono già tutti. So–e lo vedo–che sono particolarmente affezionati a mio padre e hanno saputo da lui quanto mi è successo. Nico è buono con me, mi stringe a sé e mi porta da un reparto all’altro: «Questa è mia sorella, la ricorderete… ora lavora stabilmente con noi». Gli operai sono tutti molto gentili con me. «Comincerà col dare una mano alla nostra Rosanna, al marketing», ha spiegato Nico. Strette di mano, sorrisi. «La famiglia si allarga», dice qualcuno, allegro. «Auguri, signorina», sussurra un altro. «Sarà brava come suo padre, coraggio», mi dice un altro ancora. Mi sento a mio agio. A casa… Chissà che davvero ricominci a vedere il sole dopo il buio profondo dei mesi scorsi… Il nuovo ambiente, mio fratello vicino… mi sento riscaldare il cuore. Con mio fratello, del resto, c’è un feeling particolare: è grazie a lui che da ragazzina ho potuto permettermi di uscire e stare con i suoi amici, più grandi di me, quando invece sarei stata costretta a rimanere a casa. E ora lavoriamo persino insieme. Lui ha ventisei anni io ventuno… Lo stabilimento, con ingresso in via Conti Agosti 231, a Mareno, è molto grande. Davvero mi rendo conto di che cosa è stato in grado di realizzare mio padre in Veneto. La ditta è diventata tra le aziende leader del suo settore.
Ho percorso la fabbrica in lungo e in largo, mi sono fermata a osservare le lavorazioni dei pezzi per le cucine professionali. Il rumore delle macchine è coinvolgente, ci si sente parte di questo universo produttivo… Tutto l’ambiente è pervaso dal profumo di acciaio lavorato che ho nelle narici sin da quando sono piccola. «Guarda queste attrezzature», mi indica Nico, alzando la voce per far prevalere la sua sul rumore delle produzioni: «Sono quelle che papà ha voluto fare per le cucine dei fast food. Ha deciso di seguire questa tendenza». Nello stesso capannone, ma discosto dall’area produttiva principale, ci sono quelle destinate alla mensa aziendale e un reparto che è stato dedicato interamente alla produzione di frigoriferi. Siamo usciti dallo stabilimento. Nico mi accompagna nella casetta a due piani dove trovo papà. Se l’è trovata nel terreno acquistato all’inizio degli anni Sessanta, prima di cominciare l’attività, e se l’è tenuta. È minuscola, consta di sole quattro camere, tra sopra e sotto: c’è spazio soltanto per il suo ufficio, per quello della sua segretaria e per l’archivio personale, oltre a un’area per le riunioni. Ho visto Rosanna, con cui lavorerò a stretto contatto: avverto che tra lei e mio fratello c’è un’evidente simpatia… «Eccomi, papà, Nico mi ha fatto vedere tutto lo stabilimento e mi ha presentato agli operai». «Sono contento, Mariacristina… Ascolta… prima, però, di dedicarti a ciò di cui avevamo parlato, come tuo incarico qui, vorrei che mi dessi una mano a riordinare l’archivio. Ho tutta una serie di documenti che da parecchio tempo vorrei sistemare. Troverai anche ritagli di giornale che possono venirci utili per le informazioni che contengono. Ora, comunque, con calma, prendi posto nell’ufficio con Rosanna. Oggi pomeriggio cominceremo questo lavoro. D’accordo?». Mio padre, impegnato come è, non riesce ad archiviare ciò che è rimasto accatastato sulla sua scrivania e sugli scaffali a muro per giorni e mesi. «D’accordo, papà». Non si tratta soltanto di cose di lavoro, ma anche di carte strettamente personali, e di famiglia. Papà sa che può contare sulla mia riservatezza.
Ho trascorso sei bellissimi mesi accanto a mio padre. Abbiamo riordinato tanto materiale e vedo papà soddisfatto e più tranquillo a proposito di tutta quella mole di documenti che giaceva disordinata e impolverata. Stando a stretto rapporto con lui ho capito che c’è un titolare “ombra” della Mareno Grandi Cucine: è mia mamma. Partecipa ai consigli di amministrazione o ai collegi sindacali, tratta con i commercialisti che ci seguono dal punto di vista contabile e fiscale e con gli avvocati quando ce n’è bisogno, senza avere studi o competenze specifiche. È un punto di confronto costante per mio papà. Per ogni cosa, per ogni problema. Con Rosanna, intanto, abbiamo impostato un nuovo programma di promozione dell’azienda e di partecipazione a eventi e fiere. Ci siamo organizzate il lavoro per partecipare alla Fiera campionaria di Milano. Il nuovo lavoro mi ha ridato fiducia. Il dolore per la morte di Francesco si è fatto meno acuto e ora ha il sapore di una compagnia diversa e strana alla mia vita. Che ha ripreso a camminare. Pian piano sorge in me una certezza, che – lo spero–non mi lascerà mai più: Francesco mi ha regalato (mi commuovo a pronunciare questa parola, “regalo”…) la cosa più bella che poteva lasciarmi, e per sempre: la voglia di vivere e di non arrendermi mai. Che grandissimo gesto d’amore, il suo… l’avermi fatto maturare alla velocità della luce… Da quel momento in poi ho apprezzato qualsiasi alba, qualsiasi tramonto, ho imparato la resilienza, cioè il saper reagire alle difficoltà, e ad avere sempre un “piano B” in caso di necessità, qualsiasi cosa accada… Francesco mi ha lasciato il ricordo di una persona sempre giovane, che non invecchierà mai, e la memoria della sua dolcezza, della sua infinita dolcezza, con quel suo modo di ascoltarmi, con quel nostro modo di ascoltare anche la musica e le canzoni dei nostri cantautori preferiti.
L’altalena rossa. Keyline e la sorprendente vita di una donna in fabbrica
di Mariacristina Gribaudi e Adriano Moraglio
Rubbettino
Pagine 154, euro 14,00