La fabbrica di cioccolato e le acciaierie. Le sete e la bioraffineria. Il design, l’arte dei liutai e le centrali elettriche. Il grande gruppo multinazionale, la piccola impresa artigianal-familiare. È un viaggio completo nell’Azienda Italia, l’Open Factory 2019, così come lo era stata un anno fa l’edizione d’esordio. Un successo allora: ventimila persone che, in sette regioni, al cinema o alle prime discese sugli sci avevano preferito una visita nei reparti produttivi di uno stabilimento, o nelle sale di comando di una multiutility o dietro le quinte degli arrivi-partenze di un aeroporto. Un successo ora: il secondo appuntamento con le «fabbriche aperte» organizzato da «L’Economia» e «ItalyPost» è un nuovo «tutto esaurito».
Quella che un anno fa, quando abbiamo lanciato l’iniziativa, era poco più di una scommessa, si è rivelata un’intuizione corretta. Non è vero che questo è un Paese che vive ormai solo sui social. Ce n’è anche un altro, che «dopo» posta su Facebook o Instagram, ma «prima» vuole vedere, capire, scoprire. Le fabbriche, soprattutto, in questo caso. I posti dove nasce il meglio del Made in Italy e, tutt’intorno, i servizi che li fanno funzionare o le strutture grazie alle quali prodotti, progetti, idee, uomini e donne protagonisti di quel «Made in» volano per il mondo. Si dice spesso che l’Italia, economia fondata sulla manifattura, fuori dagli ambienti della produzione viva poi di pregiudizi antindustriali. È un’affermazione difficile da contraddire. Le fabbriche che aprono le loro porte, e chi è curioso di entrarci, dimostrano però che non è tutto lì. Chiamiamola voglia di cultura industriale. Magari ci si può costruire qualcosa.
*L’Economia, 18 novembre 2019