Ce la faranno i nostri distretti ad allontanare da sé e da noi il fantasma del rallentamento dell’economia reale? La domanda è più che legittima davanti ai risultati del Monitor Distretti della direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo che attesta come nel secondo trimestre del 2018la straordinaria cavalcata dei cluster italiani abbia tenuto ancora un ritmo elevato. La crescita dell’export ha fatto segnare un tendenziale +3,19 mettendo in bella evidenza la performance dei distretti della meccanica che sono riusciti a fare ancora una volta meglio dei loro concorrenti tedeschi (+5,3% contro 4,4%). Ma, siccome la prudenza non è mai troppa, bisogna giocoforza rapportare questi dati alla novità che nel frattempo si è manifestata a luglio con un risultato sorprendentemente negativo della produzione industriale complessiva — non dei solo distretti, quindi — che attesa a +0,39 si è invece inabissata a -1,89. Tra le cause che gli analisti hanno addotto come spiegazione prima tra tutte la difficoltà dell’export a causa delle incertezze originatesi nel commercio internazionale per il ritorno più o meno sincopato al protezionismo. Effetto Trump, insomma.
Spiega Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo:«Nonostante il rallentamento del commercio internazionale, che colpisce in particolare i Paesi avanzati, gran parte dei distretti industriali ha continuato a vedere crescere le proprie esportazioni nella prima parte dell’anno. Hanno sicuramente giocato a favore gli incentivi all’internazionalizzazione e i contributi per la partecipazione alle fiere all’estero». Ma i veri protagonisti di questi risultati, aggiunge De Felice, «sono quelle imprese che nei distretti vantano più brevetti, più marchi e quindi restano competitive anche nelle fase meno dinamiche degli scambi intemazional ». Troveremo, allora, anche nel Monitor Distretti del terzo trimestre risultati (lusinghieri) analoghi? «E’ difficile dare una risposta secca. E’ plausibile che si produca un rallentamento, anche se i distretti ci hanno stupito già tante volte e continuano a viaggiare a un ritmo superiore all’intero manifatturiero italiano. Certo che se traguardiamc’ il 2019 e prendiamo atto di una previsione del Pil a quo- ta +0,9% possiamo ipotizzare che l’avanzata dei distretti abbia quantomeno toccato il suo picco». Se queste sono le riflessioni «macro» che il Monitor ci spinge a fare, sono di un certo interesse anche quelle «micro».
Esaminando nel dettaglio i ri sultati dei vari distretti emerge infatti una mappa meno scontata di quanto si potesse pensare. Regioni e settori È vero che la Lombardia con +5,8% fa sentire il suo peso «storico» ma da sottolineare con grande evidenza sono i risultati della Puglia (+4,7%) e dell’Umbria (addirittura +145%). Anche le Marche ,dopo ben sette trimestri negativi dovuti all’effetto-sisma, sono tornate in positivo grazie ai dati che vengono dalle calzature di Fermo, dalle macchine utensili di Pesaro e dagli elettrodomestici/cappe di Fabriano. Nella lettura dei risultati al dato regionale va affiancato quello riferito ai singoli duster. E qui si comporta la centralità del settore meccanico grazie alle macchine per l’imballaggio made in Bologna che fanno segnare +11,6%, il food machinery di Parma +18,7%, la meccanica strumentale di Bergamo +9% e la meccatronica barese +15,8%. Sarebbe interessante capire come questo exploit della meccanica sia legato al Piano Industria 4.o e non solo per la produzione (le macchine strumentali) ma per la capacità del manufacturing di rapportarsi meglio, grazie alle tecnologie, alle variazioni dei mercati. Il made in Italy di punta, pelletteria e calzature di Firenze e calzature del Brenta, conferma anch’esso la sua straordinaria vitalità e fa segnare al Monitor rispettivamente +15,8% e +13,4%. La sorpresa viene dalla maglieria di Perugia che, sicuramente meno celebrata degli altri distretti, ha portato a casa un incremento delle esportazioni del 13,4%. Il food ha continuato anche nel secondo trimestre ad andare alla grande e le eccellenze sono segnatamente i vini delle Langhe e del Monferrato, i dolci di Alba, il Prosecco veneto, dolci e paste di Verona, i salumi di Modena. Tutti con incrementi tra il 1,5e i122%. In campo negativo l’oreficeria di Valenza Po — che ha perso circa 120 milioni di euro di export — e la concia di Arzignano che, a causa delle quotazioni delle pelli, ha dovuto arretrare del 12,6%. Il lavoro della direzione studi di Intesa Sanpaolo si conferma molto utile, sarebbe interessante integrarlo con rilevazioni a campione sui singoli distretti per capire, come già detto, l’impatto del 4.0 e per fotografare l’evoluzione dei rapporti di fornitura. In sostanza come i distretti si modernizzano e come si riorganizzano adottando il format della filiera (più competitivo e flessibile).