Non ci saranno fuochi d’artificio, non subito almeno. L’Ue ha già attraversato abbastanza crisi politiche – i primi sei mesi di Syriza in Grecia, il nuovo autoritarismo a Budapest e Varsavia, la Brexit – da avere già sviluppato un manuale di regole non scritte su come affrontarle. La prima è non reagire troppo presto, né troppo. Sia a Bruxelles che nelle altre capitali in queste ore nessuno si lascia sfuggire una parola che possa rafforzare l’euroscetticismo dei partiti vincitori in Italia, o permetta loro di gridare alla congiura e di atteggiarsi a vittime. Niente di tutto questo significa che i fari siano spenti. La preoccupazione è subito sotto la superficie.
Solo pochi giorni fa in un incontro a porte chiuse a Washington Pierre Moscovici, commissario Ue agli Affari monetari, è stato esplicito sul rischio che secondo lui rappresenta la Lega di Matteo Salvini: «Non sbagliamoci – ha detto il socialista francese –. Non è perché Salvini sia alleato di Silvio Berlusconi che diventa di centrodestra. No: Salvini è alleato di Marine Le Pen e, se il suo partito diventa il primo in Italia, questo avrà un significato molto forte per l’estrema destra». Questa è però solo una parte dell’inquietudine. Oggi in Europa è diffusa soprattutto l’altra, quella sulla tenuta del debito se il nuovo governo alzasse il deficit o rendesse più costose le pensioni. A questi temi ieri ha dato voce Francesco Papadia, una figura poco nota ma decisiva durante la crisi dell’euro. Direttore generale Bce per le operazioni di mercato, Papadia gestì gli acquisti di titoli per salvare il debito italiano nel 2011 e contribuì alla messa in musica del «whatever it takes» di Mario Draghi. Papadia ha visto la crisi esplodere e l’ha ricomposta stando seduto in cabina di regia. Ieri ha scritto: «Temo che gli italiani non siano consapevoli di dove si stanno dirigendo con il nuovo governo, se si forma. I mercati finanziari potrebbero risvegliarli alle conseguenze. Ho paura che possa essere spiacevole». L’ex banchiere centrale non è il solo a pensarlo. Molti si chiedono se si giungerà a un “momento-Syriza”, come a Atene nel luglio 2015, e cosa deve accadere perché accada: quando un governo, sotto la pressione dei mercati e dei risparmiatori, straccia le proprie promesse assurde e si concentra sul risanamento del Paese.