Dove eravamo rimasti? Nel commentare la classifica dei Champions dello scorso anno, ci eravamo soffermati sulla collaborazione strategica fra il set tore privato e lamano pubblica, che rappresenta uno degli ingredienti essenziali per una politica indu striale del Ventunesimo secolo finalizzata al cambiamento struttu rale (una politica ben tratteggiata dall’economista di Harvard Dani Rodrik, Kennedy School of Govern ment).
Nel maggio 2021, il Piano naziona le di ripresa e resilienza (Pnrr) era stato da poco presentato dal gover no italiano alla Commissione euro pea. Oggi, dodici mesi dopo,siamo nel pieno della sua implementazione. Molto è affidato, per la sua attuazione, alle riforme: «orizzontali o di contesto» (pubblica ammini strazione e giustizia), «abilitanti» (semplificazione e concorrenza), «settoriali» (sono quelle contenute all’interno delle singole sei missio ni). Vi sono poi due riforme «di ac compagnamento»: sistema fiscale e ammortizzatori sociali.
Questoèun ottimo inizio per al meno due motivi. Primo, la linea scelta dal governo guidato daMario Draghi è coerente conl’impostazio ne europea: nella Comunitàeuropea: un ruolo essenziale è sempre stato giocato dal la costruzione del mercato unico, dove esiste piena libertà di circola zione dei fattori della produzione (beni, servizi, persone, capitali) e dove la politica della concorrenza è parte dell’acquis communautaire sin dai Trattati di Roma del 1958.
Secondo, questa linea è vitale per l’Italia, che da decenni è un Paese bloccato: basti pensare al suo mo desto tasso di crescita (causato, in primis, da un’insoddisfacente di namica della produttività), alla sua scarsa mobilità sociale, alle cre scenti diseguaglianze.
Ora, imprese dinamiche come i mille Champions del made in Italy potranno continuare a percorrere i loro sentieri di crescita su un cam po da gioco (ben)livellato». Ma per i Champions, quest’anno e nei prossimi due-tre, la storia non fini sce qui, giacché il Pnrr prevede al cuni significativi investimenti ca paci di rafforzare i legami fra imprese e territorio.
In Missioni come la Numero 1 (digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo), la Numero 2 (rivoluzione verde e transi zione ecologica), la Numero 3 (infrastrutture per una mobilità sostenibile) — tutte espressamen te legate alla «duplice transizione, ecologica e digitale» voluta da Bruxelles—sono presenti investimenti di rilievo e una qualunque sintesi correrebbe ilrischio di apparire in completa. Ma accostandoci alla Missione 4 (Istruzione e Ricerca), e in particolare alla sua seconda componente («Dalla ricerca all’im presa»), ci imbattiamo in due inve stimenti di natura strategica per il sistema-Paese, che ha nei Cham pions uno dei suoi pilastri.
La distribuzione settoriale per fatturato di questa élite di aziende ad altotassodi crescitadà contodiuna manifattura italiana in piena evolu zione, che vede saldamente al pri mo posto il settore meccanico (più l’elettrico-elettronico al quinto) e al secondo posto quello chimico-far maceutico.
Lo sforzo incessante di spostarsi verso la frontiera del progresso tec nologico (information and com munication technology, scienze della vita) potrà così trarre grande giovamento dai due investimenti in gestazione.
Il primo riguarda il «potenziamento di strutture di ricerca e creazione di «campioni nazionali di R&S» su alcune Key Enabling Technologies» con una dotazione di 1,6 miliardi di euro. I cinque Centri nazionali previsti dal bando del ministero dell’Università e della Ricerca, e confermati dalla graduatoria che ha già valutato le domande, saranno creati nei seguenti campi: simu lazioni, calcolo e analisi dei dati ad alte prestazioni; tecnologie del l’agricoltura; sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a Rna;mobilità sostenibile; biodiversità. Ognuno di questi Centri sarà imperniato suunhub,ma le attività diricerca saranno parzialmentede centralizzate sul territorio nazionale. Il secondo investimento—dotazione:1,3 miliardi di euro—è dedi cato alla «creazione e rafforzamen to di «ecosistemi dell’innovazio ne« e alla costruzione di «leader territoriali di R&S».
La graduatoria, anch’essa resa nota di recente dal ministero, colloca ai primi tre posti proposte progettua li elaborate nell’ambito «clima, energia, mobilità sostenibile», e presentate rispettivamente dal l’Università di Bologna (a nome di tutto il sistema universitario e della ricerca regionale emiliano-roma gnola), dall’Università della Cala bria, dall’Università di Milano-Bicocca.
Seguono, sempre con un’equili brata distribuzione fra Nord e Sud del Paese, un progetto nell’ambito salute, un altro nell’ambito cultura, creatività e società inclusiva, e infi ne sei progetti nell’ambito digitale industria-spazio.
È possibile scorgere, a somiglianza del caso delle riforme, una coeren za difondo fra la linea scelta dal Pn rr italiano e l’impostazione comunitaria. Difatti, a livello Ue si è venuto consolidando, dai primissimi anni Duemila a oggi (dunque dalla Commissione Prodi a quella attua le, presieduta da Ursula von der Leyen), un approccio «integrato» alla nuova politica industriale. Os sia, un policy mix fra misure «oriz zontali» e misure «verticali». Le prime sono ampiamente consoli date e condivise, mentre le seconde —in divenire—hanno per oggetto le più strategiche tecnologie abili tanti e le più promettenti traiettorie tecnologiche.
Si pensi, al riguardo, agli impor tanti progetti di comune interesse europeo (per esempio quello nel campo delle batterie), o alla legge sui semiconduttori (il cosiddetto Chips Act, arrivato nel febbraio scorso).
Concorrere con idee e innovazioni a questo nuovo corso della politica industriale europea, che ha al suo centro gli investimenti in conoscenza (R&S e capitale umano), as somiglia molto a un imperativo categorico per la seconda manifattura d’Europa. Una posizione d’onore che non è data per sempre.